Qui ci sbancano
Italy next?. L'Italia è la prossima? È il titolo di una videointervista pubblicata sul sito internet del Financial Times. Due giornalisti della Lex Column del giornale londinese disquisiscono amabilmente del nostro futuro. Vi lascio immaginare come. Sguardo accigliato. Rigorosamente dall'alto in basso. Manca solo il tè delle cinque e un «Oh, my God...» per completare la disamina dei mali del nostro Paese. Intendiamoci, quello che stiamo passando ce lo meritiamo, ma subire lezioni da chi nazionalizza le banche e distrugge il mercato finanziario con i titoli tossici, proprio no. Cosa sta succedendo? Ieri ho lasciato i lettori con una certezza: «Perderemo soldi». È accaduto. Il lunedì dei mercati è stato pessimo e per il debito pubblico italiano la faccenda si fa nerissima. E finora la risposta delle istituzioni è stata insufficiente. L'Italia è sotto attacco speculativo. Il differenziale tra titoli tedeschi (Bund) e italiani è di oltre 300 punti base e in 48 ore è schizzato di 100 punti. Un'accelerazione degna dello Shuttle. Non si vedeva dal 1999. Le mosse sul campo di battaglia erano visibili da giorni. Bastava leggere la stampa internazionale - che non scrive mai a caso - e su Il Tempo gli articoli del sottoscritto, Marlowe e Antonio Martino per annusare l'aria che tirava. Ignorare il direttore e Marlowe si può (ma non lo consiglio, siamo ragazzi bene informati) ma lasciare scorrere come acqua quel che scriveva il 6 luglio scorso sulla nostra prima pagina l'allievo del premio Nobel Milton Friedman, uno dei pochi liberali veri del centrodestra, be' mi dispiace, ma è peccato mortale. Titolo: «Corriamo il rischio bancarotta». Punto e a capo. Tanto dovevo alla cronaca. Torniano al futuro. Lenin si chiederebbe: che fare? La situazione è difficile, perché di razionale sui mercati in questo momento vi è ben poco. Tranne il guadagno. Come uscire dalla tenaglia ed evitare il crac? Una progressione logica della crisi del debito sovrano avrebbe dovuto seguire questa linea: Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. La Spagna è stata saltata di netto e gli interessi di chi specula (e fa il suo mestiere) si sono concentrati sul Belpaese. Perché? Instabilità, incertezza, litigiosità dell'esecutivo, una manovra debole sulla crescita e incerta nei tagli, un presidente del Consiglio distratto da lodi e risarcimenti, un ministro dell'Economia che ha problemi con la casa, un'opposizione archeologica e neocomunista. Ci sarebbe anche la fondamentale apertura dei ministeri leghisti al Nord e molto altro, ma per ora basta. Risultato: gli operatori hanno cominciato a interrogarsi sulla continuità dell'esecutivo e la capacità di abbattere il debito. L'incertezza ha cominciato a seminare il propellente più serio per la fase «sell», vendita: il panico. Così i fondi di investimento internazionali, tra i quali gli olandesi e gli scandinavi, hanno cominciato ad allegerire le loro posizioni sui titoli di Stato italiani. E quando lo spread tra Btp e Bund è schizzato a quota 300 punti base le vendite sono partite in automatico. Con una progressione da centometrista, al traguardo è comparsa la parola «volatilità» sul nostro debito, cioè inaffidabile. Altri fattori hanno contribuito ad agitare le acque, primo fra tutti il dossier sempre più imbarazzante della Grecia, il cui salvataggio comincia a divenire un peso insopportabile anche per i tedeschi e i francesi, detentori del debito di Atene. Salvare i ballerini di Sirtaki, i bevitori di Ouzo e i ferrovieri ellenici a 150 mila dollari l'anno comincia a costare caro. Troppo. Vedremo come va a finire sotto il Partenone (in fiamme), il problema è che il fuoco rischia di propagarsi all'Italia, cioè un Paese con una forte economia industriale e un grande risparmio privato. E se ci sono dubbi sul salvataggio della Grecia da parte dell'Europa, figuriamoci cosa può accadere a Francoforte se il paziente da curare diventa l'Italia. Un grande malato diventa un grande problema per tutti. L'ideale sarebbe mantenerlo così com'è, febbricitante, privo di forti ricostituenti, una preda perfetta a cui succhiare il sangue tutti a turno. Niente vittimismi da queste parti. Ripeto, ce la meritiamo tutta questa situazione kafkiana. Distruzione. É la parola chiave per comprendere cosa accade: distruzione di valore e di valori. Materiali e ideali. Questa crisi si porterà via una parte della ricchezza degli italiani onesti che pagano le tasse e un pezzo dell'Europa sognata e mai costruita per incapacità della classe politica. Ne abbiamo la prova ancora mentre i titoli bruciano: tutti invocano l'approvazione subito della manovra, dai partiti alla Confindustria è un coro unanime. Come se fosse quello il vero tema. Ci vuole altro, inutile nascondersi dietro un dito e far finta di non vedere il muro di titanio. I fondi italiani sono pieni di titoli di Stato tricolori. E non venderanno. Le banche - proprietarie degli stessi fondi - cercheranno di comprare titoli per sostenere il sistema. Ma fino a quando? E a che prezzo? Senza un intervento esterno, affogheranno. I fondi esteri nel frattempo si disfano di tutto quel che sa di spaghetti e mandolino. Teoricamente, senza una soluzione vera, una proposta diversa, un reale cambio di passo nell'azione di politica economica e nella conduzione del governo, a un certo punto la domanda e l'offerta finiranno di incontrarsi e i nostri titoli andranno all'asta a vuoto. É un'ipotesi scolastica, ma le crisi finanziarie sono un domino pazzesco e ho letto tanta letteratura in proposito da sapere di non viaggiare nel mondo del fantastico. Il mercato se ne infischia della manovra. É irrazionale e vuole «un'altra storia da vendere». Quale? Gira e rigira, due sono le soluzioni (im)possibili: 1. La Banca Centrale Europea comincia a comprare i titoli del debito italiano e sostiene il nostro piano di rientro; 2. Maggioranza e opposizione la smettono di tirarsi le torte in faccia e varano una tassa patrimoniale bipartisan per salvare il Paese dal crac. Entrambe le vie sono piene di spine. L'Italia cammina scalza. Ma fuori da queste ipotesi sembra esservi solo il caos. Un intervento della Bce si scontra con la granitica arroganza dei tedeschi e il non trascurabile fatto che un salvataggio con un presidente della Bce italiano (Mario Draghi) scatenerebbe gli amanti delle teorie cospiratorie di mezzo mondo; una patrimoniale secca da qualche centinaio di miliardi per abbattere il debito e raccontare al mercato «un'altra storia da vendere» è un passo che Berlusconi da solo non farà mai. Serve spirito patriottico. E coraggio. «Hanno in mente qualcosa o no?». Questo mi chiedeva ieri un operatore del mercato. Si riferiva al Parlamento, al governo, alla maggioranza, all'opposizione. Per ora, nessuna idea è pervenuta dal Palazzo. Nel frattempo, noi abbiamo una certezza: qui ci sbancano.