Casa amara casa
La metafora del Palazzo, con la distinzione tra "dentro" e "fuori" e quindi tra "potere (dentro)" e "Paese (fuori)", è una delle più note di Pier Paolo Pasolini. E soprattutto la più calzante nel definire il luogo chiuso e inaccessibile in cui la politica conduce i suoi giochi, nascosta agli occhi del popolo. La metafora, però, andrebbe aggiornata. Perché nella Terza Repubblica la politica è passata dal Palazzo all'appartamentino, meglio se regalato. O comunque sottopagato, alla faccia del popolo che investe sul mattone a prezzi di mercato. È la filosofia vip: «Valgo (non pago) e quindi pretendo». Lo sanno bene quelli che negli anni d'oro hanno scelto le case più ricche e poi non si sono più schiodati. A Roma, capitale del mattone in mano agli enti pubblici, c'è chi ha attraversato la bufera di Affittopoli 1, superato Svendopoli, e poi è stato ritirato in ballo da Affittopoli 2. Senza mai pensare di togliere le tende. Ma chi di casa ferisce, di casa rischia anche di perire restando senza tetto e senza poltrona. Perché nelle case degli "errori" ci si può perdere facilmente. Sia che si arrivi da destra, da sinistra o dal centro. È il 1995, quando Il Giornale, diretto da Vittorio Feltri, se ne esce con una lunga inchiesta sugli appartamenti affittati ai politici dagli enti previdenziali a prezzi super scontati. Sulla scia di Tangentopoli, lo scandalo viene ribattezzato Affittopoli e coinvolge tutto l'arco politico. Su Repubblica Giovanni Valentini a un certo punto tira le somme: «Sul terreno di Affittopoli, dove sono scese in campo le formazioni degli inquilini eccellenti – scrive - la sinistra batte la destra 15 a 9. La squadra guidata dal tandem D'Alema-Veltroni supera con largo margine quella capitanata dal terzetto Casini-Mastella-Tatarella». Ma se i due centristi e l'aennino passano indenni attraverso il ciclone mediatico, i leader diessini pagano il conto a un elettorato molto meno disposto a tollerare privilegi di sorta. D'Alema cambia casa: «Non credo di aver goduto di particolari privilegi – dice in una puntata del Maurizio Costanzo Show – Ma mi sento in grande imbarazzo». Walter Veltroni, da parte sua, chiede che l'affitto gli venga aumentato. Parte così una speculazione senza fine, dopo 60 anni di affitti a prezzi stracciati e quindi di equo canone e patti in deroga. Soprattutto nella Capitale dove un quarto degli appartamenti (250mila su 800mila) è riconducibile a proprietà pubbliche. Così per colpirne uno se ne puniscono cento. Che restano fuori di casa, non solo dal Palazzo dove intanto il ballo del mattone continua a suonare. Dopo l'Affittopoli Feltriana, nel 2007 L'Espresso sbatte in prima pagina l'appendice ribattezzata Svendopoli. Ossia: le case degli enti pubblici vendute ai politici a prezzi ribassati. Nel tritacarne mediatico finiscono decine di nomi. Dagli ex presidenti di Camera e Senato Luciano Violante e Nicola Mancino, al presidente della Consob Lamberto Cardia, al segretario della Cisl Raffaele Bonanni. E poi ancora Casini, Mastella, Veltroni. Sul settimanale piovono smentite e minacce di querela. Alcuni spiegano di aver comprato a prezzi scontati «per effetto non di un'elargizione personale, ma degli sconti collettivi» applicati a tutti gli inquilini di quei palazzi. Nel 2010 a inciampare su questioni di case è l'ex ministro Claudio Scajola, al quale un costruttore romano ha pagato una bella fetta del suo appartamento con affaccio sul Colosseo addirittura «a sua insaputa». Dal giorno delle dimissioni – ha raccontato lo stesso Scajola al Corriere della Sera – «non sono più rientrato nell'appartamento. Perché se davvero risulterà che è stato pagato in parte con soldi non miei non voglio più abitarci». Intanto gli hanno portato via la poltrona ma non la casa cofinanziata per 900 mila euro da altri. Dopo Scajola, nella casa degli errori si perde Gianfranco Fini per quell'appartamentino di Montecarlo lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale che venne poi venduto per 300mila euro a una società off-shore. In quella casa viveva Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini. Anche in questo caso, a sua insaputa. Altre edizioni di Affittopoli sono spuntate qua e là per l'Italia. Si va dall'ex presidente della Commissione parlamentare di controllo sugli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, senatore Pdl Francesco Maria Amoruso, cui era intestato il contratto di una casa da 150 metri quadrati ai Parioli per 1.300 euro al mese, spese incluse, all'ex ministro leghista Roberto Castelli, che ha annunciato la disdetta di un contratto per una casa in via dei Quattro Venti a Roma, da 94 metri quadrati, per la quale pagava 750 euro al mese. Alla fine di febbraio di quest'anno Castelli ha riconsegnato l'appartamento proprio alla vigilia dell'operazione dismissioni da parte della proprietà Enasarco (cassa dei rappresentanti di commercio). Rinunciando a un affare: l'acquisto a prezzo scontato, il 30% in meno rispetto alle valutazioni di mercato che per il quartiere prescrivono - minimo - quattromila euro al metro quadro e spesso anche più. Il fatto è che l'interessante operazione immobiliare era coincisa con il dibattito sull'Affittopoli milanese (le case del Trivulzio cedute a politici e vip) e, qualche giorno prima, Radio Padania aveva lanciato la sfida on air: «Facciamo presente che nella lista di Affittopoli, tra i tanti affittuari che hanno case a canoni più o meno bassi, la Lega non c'è». Così quei novantaquattro metri quadri romani, già tra i più rinfacciati dell'ultima legislatura, rischiavano di diventare la classica goccia per gli irrequieti militanti del Carroccio. E se due sono le tipologie di inquilini Enasarco – a «prezzo concordato», cioè tenuto conto di parametri sociali, e a «prezzo libero», in sostanza con affitti più vicini a quelli di mercato –, molto spesso si trovano negli elenchi degli affitti a prezzo concordato inquilini inaspettati. Come il senatore del Pd Benedetto Adragna – già membro della Commissione Lavoro e previdenza sociale - e il direttore di Raidue Massimo Liofredi (ci abiterebbero, però, i suoi genitori) in via Ragni, l'ex collaboratore del Sismi Pio Pompa (cointestatario con Gaetano Pezzella di 169 metri quadri) e l'imprenditore Luciano Gaucci (168 metri quadri per 700 euro) in via dei Georgofili. C'è poi il caso del figlio di Vincenzo Visco, Gabriele, che nel 2006 acquistò una casa alle spalle di piazza Campo dei Fiori, a Roma da 154 metri quadrati per 910mila euro (la base d'asta era 748mila: il rialzo, scrisse Il Giornale, è di parecchio inferiore a quello "normale", che è del 60%) e quello di Anna Finocchiaro (cui è stato contestato l'acquisto di una casa da 180 metri quadrati per le figlie a 745mila euro, comprata dalla Cassa nazionale del notariato: il 30% in meno dei prezzi di mercato). E ancora: l'assessore regionale lombardo alla Casa Domenico Zambetti risulta proprietario di un immobile in corso Sempione 51, comprato per soli 533mila euro; e la compagna del neo sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, Cinzia Sasso, titolare di un contratto d'affitto per un appartamento di 118,20 metri quadrati in corso di Porta Romana per un canone annuo d'affitto di 6.864 euro (il contratto è scaduto il 31 dicembre 2008, dopo 22 anni). Perché in Italia gli scandali immobiliari sono come la minigonna. Restano uguali a se stessi ma passano di moda, per essere poi oggetto di improvvisi revival. Il 30 giugno scorso sulla casa è scivolato anche Luca Barbareschi, deputato ex Fli e ora nel gruppo misto, iscritto nel registro degli indagati della procura di Barcellona Pozzo di Gotto, dove il pm Giorgio Nicola conduce l'indagine per un episodio di abusivismo edilizio che l'onorevole attore avrebbe commesso a Filicudi, nelle Eolie, fino al 5 agosto dello scorso anno. Barbareschi avrebbe realizzato nella sua villa (200 metri quadri in una delle zone più panoramiche dell'isola) una piscina di circa sei metri per tre, contravvenendo alle norme edilizie, in un un'area sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico. La vicenda che riguarda Barbareschi venne fuori lo scorso agosto nell'isoletta di 250 abitanti, soggetta a rigidi vincoli urbanistici, gli stessi che hanno recentemente permesso alla soprintendenza di bocciare il progetto di una piscina presentato da un'isolana. Per 26 vani (cinque sobri appartamentini...) sul Lungotevere Flaminio presi quattro anni fa con la moglie Sandra a poco più d'un milione di euro, Clemente Mastella è ancora un po' ammaccato dagli articoli dei giornali. Ma non è certo domo: «Che volete? Era tutto in regola. Ero in affitto da 30 anni! Ho fatto un mutuo di 400 mila euro! Tutti i miei risparmi», si era difeso nel 2010 sulle pagine del Corriere della Sera. «Eh, in fondo è un punto d'arrivo!» Cosa? «La casa, sì, proprio la casa. Penso all'emigrante che mandava le rimesse dall'estero per comprarsi due stanzette al paese». E secondo lei è così anche per i politici nostrani? «Per tutti, certo. Anche per i politici!» Tanto che nemmeno il grande inquisitore, Antonio Di Pietro, è sfuggito al demone, sin dal tempo in cui finì sui giornali per la sua casetta Cariplo di via Andegari, a due passi da piazza della Scala. «False le accuse di favoritismo», ha sempre tuonato Tonino. Nessuno, però, si immaginava che nella casa degli errori potesse perdersi Giulio Tremonti. Il ministro del rigore, dei soldi che non ci sono, dei tagli lineari. Che a Roma non ha residenza né appartamento. Quando era nella Capitale per motivi di lavoro rimaneva a casa del suo braccio destro, Marco Milanese su cui pende in Parlamento una richiesta di autorizzazione all'arresto per l'inchiesta P4. «La mia unica abitazione è a Pavia. Per le tre sere a settimana che normalmente da più di 15 anni trascorro a Roma, ho sempre avuto soluzioni temporanee, prevalentemente in albergo e come ministro in caserma. Poi ho accettato l'offerta fattami dall'onorevole Milanese, per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità e utilizzo. Apprese oggi le notizie giudiziarie relative all'immobile, già da stasera per ovvi motivi di opportunità cambierò sistemazione», ha detto giovedì il ministro del Tesoro. Tutto regolare, niente di illecito. Stava a casa di un suo collaboratore, che pagava regolarmente un oneroso affitto. Ma il polverone resta e anzi viene alimentato dalla speculazione, non solo politica, proprio mentre i mercati finanziari registrano il massimo storico di spread tra i nostri Btp e i Bund tedeschi. E mentre a rischiare di finire sotto le macerie - non della casa, ma del Palazzo - sono tutti gli italiani.