Via le Province con un referendum
Una modesta proposta al direttore del Tempo: appoggiare, attraverso questo giornale, con le firme e le intelligenze che condividano l’idea, con quella parte non irrilevante di classe dirigente che ad esso guarda con crescente attenzione, un referendum abrogativo per sopprimere le province. E non solo. Un referendum che abbia come filo conduttore la riduzione vera dei costi della politica, in base al principio liberale che nella vita pubblica tutto ciò che è inutile è anche dannoso per i cittadini-contribuenti. E quindi che come secondo quesito, oltre alle Province, preveda anche l'abolizione del Cnel, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro: dopo spiegheremo perché proprio quello. Ed al terzo punto richiami quanto scritto da Giulio Tremonti all'articolo 1 della manovra economica firmata ieri da Capo dello Stato. Lo ricopiamo tal quale: «Il trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto, in funzione della carica ricoperta o dell'incarico svolto, ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti, comunque denominati, degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, di cui all'allegato A, non può superare la media degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri Stati dell'area Euro». L'allegato A è una sfilza di 23 organismi e tipologie che vanno dal Senato, Camera, Corte costituzionale, a Regioni, Province, Comuni, fino all'Antitrust, alla Consob, e ad una miriade di agenzie. Comprese l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). O l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). O anche la Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche. Sigle dietro le quali non sappiamo se si nascondano organismi indispensabili, oppure doppioni di ministeri e Regioni. Anche qui, se di doppioni si tratta, il referendum che immaginiamo potrebbe positivamente incidere. Su questo terreno ciò che ci preme davvero è che i tempi per ridurre alla media europea le pingui remunerazioni di questa sterminata casta politica – 170 mila sono solo gli eletti, tra parlamentari nazionali, consiglieri, assessori e amministratori locali – non diventino biblici. La manovra prevede l'istituzione di una commissione presieduta dal presidente dell'Istat, con «quattro esperti di chiara fama tra cui un rappresentante di Eurostat», in carica per quattro anni, che – citiamo di nuovo testualmente – «entro il primo luglio di ogni anno e con provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, provvede alla ricognizione e all'individuazione della media dei trattamenti economici di cui al comma 1 riferiti all'anno precedente ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza. La partecipazione alla Commissione è a titolo gratuito. In sede di prima applicazione, il decreto del presidente del Consiglio dei ministri di cui al primo periodo è adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; tenuto conto dei tempi necessari a stabilire la metodologia di calcolo e a raccogliere le informazioni rilevanti, la ricognizione e la individuazione riferite all'anno 2010 sono provvisoriamente effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente riviste entro il 31 marzo 2012». A noi sembra una procedura un po' farraginosa. E siccome un referendum prevede un arco di un paio di anni tra la raccolta delle firme e l'effettuazione, avremmo modo di vigilare, di intervenire anche su questo punto. E se del caso di eliminare ciò che non funziona. Il primo obiettivo, però, dovrebbe essere la soppressione delle Province. Ormai non c'è altra via: il voto di martedì scorso lo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio. Il motivo è semplice. Delle 110 province italiane, 40 sono governate dal Pd, 36 dal Pdl, 13 dalla Lega, 5 dall'Udc, 2 dall'Mpa, 14 dalle forze locali e minori. L'abolizione delle Province comporterebbe un risparmio strutturale immediato di 13 miliardi l'anno, e a regime, con lo smaltimento del personale, di almeno 20. Tra tutti gli enti locali sono quelli le cui spese aumentano di più: il 65 per cento in otto anni. A Roma, Milano, Palermo i consiglieri sono 48, ma anche da Alessandria (30) a Catanzaro (35) non si scherza. E poi ci sono gli assessori non consiglieri, i vicepresidenti elettivi e non elettivi, gli assessori e i consiglieri anziani. E così via. Ognuno con il suo ufficio, quello di gruppo e sottogruppo – a Roma il presidente della Provincia è Nicola Zingaretti, dirigente del Pd di livello nazionale; ma c'è anche un “Gruppo consigliare Lista civica Zingaretti” dotato di due consiglieri (uno capogruppo), telefoni e segreteria – con relative auto di servizio, personale, cellulari. E, ovviamente, le spese per la campagna elettorale e relativi rimborsi. Le Province sono previste dalla Costituzione, anche se dovevano essere soppresse già dal 1970 con l'arrivo delle Regioni. Sono ancora lì, aumentate anzi di una trentina di unità. Ma abrogarle è possibile, con il referendum previsto dall'articolo 138 della Costituzione stessa. Così come il Cnel, altro organismo costituzionale: «Organo di consulenza delle Camere e del governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge». Notare quel «può contribuire». In compenso il suo consiglio conta ben 121 membri, più del Senato Usa, che durano in carica cinque anni, e possono essere riconfermati. Benché considerato un cimitero di elefanti, il Cnel è (anche per questo) molto ambito. La sede è a villa Lubin, un paradiso nel cuore di villa Borghese. In 54 anni di «attività» il Cnel ha prodotto 96 pareri, 350 osservazioni e proposte, 250 rapporti, 130 dossier. E le famose proposte di legge? Quattordici, quasi una ogni quattro anni.Non sappiamo se questa nostra idea verrà raccolta. Secondo noi avrebbe, oltre a quello principale, uno scopo politico neppure troppo secondario: sulla questione (fondamentale) dei costi della politica, capire una volta per tutte chi sta con che cosa. Stanare i partiti, ma soprattutto i singoli: a cominciare da Pdl e Pd. Il primo aveva l'abolizione delle Province nel programma elettorale: eppure martedì ha votato contro. Il Pd si è astenuto «perché l'operazione, pure giusta, deve essere fatta gradualmente, infatti abbiamo un'idea migliore». Puro stile dello smacchiatore di leopardi Bersani. Alla fine per il taglio si sono trovati fianco a fianco Di Pietro, Casini, un po' di terzo polo. Non sappiamo se da lì verrà una futura classe dirigente che non sia liberale solo a parole. Se a qualche risorsa da riscoprire si unirà qualcun altro, nel centrodestra o nella sinistra riformatrice, che libero da obblighi di governo o coalizione possa esprimersi al meglio. O se su questo terreno potremmo mettere alla prova leadership nuove. Forse vale la pena di provarci. I lettori possono aderire alla raccolta firme inviando una mail all'indirizzo vialeprovince@iltempo.it indicando nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza e mail oppure tramite fax al numero 06-67588279