Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Un Paese debole è terra di conquista

default_image

  • a
  • a
  • a

C'è una novità, non bella, ma è bene che vi mettiamo la testa. L'Italia è sotto attacco, è in guerra, per come si conducono le guerre di oggi. Ad attaccarci è la speculazione, che ha scelto proprio il nostro Paese per una serie di motivi che spiegheremo. Ieri lo spread, il differenziale di rendimento tra i Btp decennali italiani ed i corrispondenti Bund tedeschi ha sfondato un nuovo record storico: 247 punti, cioè il 2,47 per cento. Contemporaneamente piazza Affari, dove predominano i titoli bancari, è giunta a perdere ben oltre il tre per cento, la peggiore perfomance tra le maggiori borse mondiali. Chi osserva la situazione con gli occhiali deformi della politica trova motivi per attaccare la manovra del centrodestra che, scrive l'economista Tito Boeri, «inquieta i mercati». Lettura decisamente smentita da Mario Draghi, uomo mai tenero con il governo: «La manovra è un passo importante per il consolidamento dei conti pubblici e l'anticipo delle misure rende credibile il raggiungimento del pareggio di bilancio» ha detto il governatore di Bankitalia e futuro presidente della Bce. «Vedo dai dispacci di agenzia che tensioni scaturiscono dai timori di alcuni analisti circa le condizioni dei conti pubblici dell'Italia. Non è la mia opinione né quella del presidente della Banca centrale europea, Trichet». D'altra parte parlano i numeri. Pochi mesi fa lo spread tra Btp e Bund era la metà di adesso. Che cosa è accaduto di tanto negativo nel frattempo? Nulla che dipenda da noi. Molto, invece, che dipende da altri. Ed eccoci ai motivi di quanto sta accadendo. In primo luogo l'Europa. Le sue istituzioni politiche e finanziarie puntano tutto sul risanamento di debiti e deficit. Ma la speculazioni, i mercati e le agenzie di rating che ne sono i più interessati interpreti, i famosi arbitri-giocatori, hanno individuato da tempo un diverso e opposto criterio di giudizio, che puzza di pretesto. Parliamo di «crescita» e «rischio contagio», termini presenti sempre più spesso negli outlook o nei rumors di Moody's, Standard&Poor's e Fitch, le tre sorelle di Wall Street che hanno come azionisti i più grandi fondi speculativi del mondo. Da quando le grandi sale operative della finanza mondiale si sono preoccupate del contagio? Esso caso mai è parte del business: tanto più un paese è a rischio, tanto meglio ci si possono imbastire sopra grandi affari. Per non dire della crescita, essendo l'economia reale spesso antitetica agli interessi della finanza. Dunque l'analisi del problema va invertita. L'Italia è «too big to fail» troppo grande per fallire. Esattamente come la Goldman Sachs rispetto alla Lehman Brothers. Troppo grande per fallire sì, ma non per giocarci sopra al ribasso. Con un bersaglio triplo: noi, gli altri paesi europei e l'euro stesso. Ecco perché siamo noi sotto attacco. E non, per esempio, gli Stati Uniti, dove l'amministrazione Obama sta sfondando il tetto del debito pubblico, che viene ogni anno fissato dal congresso, e deve in queste ore negoziare affannosamente una deroga con i repubblicani. Eppure il rischio default americano è considerato nullo, un'ipotesi accademica, e questo essenzialmente per due motivi. Il primo è che neppure George Soros e Warren Buffet si azzardano ad attaccare più di tanto la Casa Bianca, chiunque vi risieda. Nonostante tutto la speculazione teme ancora i poteri di Washington, che non sono giudicati cani da pagliaio come le istituzioni europee. La Sec americana, l'equivalente della Consob, può prendere un Ivan Boesky o un Bernie Madoff e sbatterlo dentro dimenticandosi la chiave. Mentre la Federal reserve può stampare tutti i dollari che le pare, al contrario della Bce che invece sta aumentando i tassi d'interesse. Il secondo motivo è che nonostante tutto Wall Street ha paura di Main Street: che non è una strada ma il termine che identifica l'opinione pubblica, quel mood spesso tradizionalista ma meno pigro e più padrone di sé che in Europa. E che, se si incavola, morde. Quindi se noi e l'Europa siamo uno buon terreno per la speculazione, con la vecchia America è meglio non scherzare. «Che succede all'Italia sotto attacco? Una sfilza di guai. Primo, il Tesoro spende di più per collocare i suoi titoli. Con lo spread su questi livelli, un maggior onere di 10-12 miliardi l'anno: quanto una manovra. Per le famiglie, i loro Bot e Btp ne risultano svalutati come valore nominale. Questo per chi intenda portarli alla scadenza può non essere un problema, a condizione che non guardi troppo spesso il suo deposito, pena l'attacco di fegato. Lo è invece se ha bisogno di liquido; e lo è in ogni caso per banche e industrie, i cui portafogli e tesorerie stanno subendo duri colpi. In compenso aumentano i rendimenti delle nuove emissioni: ma chi li paga? Ancora noi, sia come contribuenti sia come sottoscrittori di mutui e prestiti. E di nuovo le imprese che ricorrono al credito. Gli interessi su un mutuo ancorato all'Euribor a sei mesi erano all'uno per cento un anno fa: adesso sono quasi al doppio. Siamo appena usciti dalla crisi creditizia post Lehman Brothers, e ci infiliamo in un'altra crisi da rialzo dei tassi, grazie anche alla politica della Bce che li ha già aumentati del 50 per cento e intende andare avanti. Infine le conseguenze politiche. Ieri Berlusconi e Tremonti si sono incontrati a pranzo a palazzo Chigi. Data la brevità, immaginiamo un lunch dietetico: ma l'essenziale è che tutte le rese dei conti, le ripicche e magari anche le battute vengano rinviate a dopo. Con la vicenda giudiziaria di Marco Milanese il ministro non ha certo migliorato la sua posizione nel governo. Non ci addentriamo in questa storia, nota da tempo agli addetti ai lavori ma il cui potenziale di rischio sfuggiva evidentemente ad un ministro che si considera, spesso non a torto, il migliore di tutti. Diciamo solo che anche Tremonti deve tornare con i piedi sulla terra. In tutti i sensi: scegliersi meglio i collaboratori, tra i quali non mancano persone di prim'ordine per rettitudine e professionalità; e indagare un po' di più su dove va a dormire. Diversamente non fa migliore figura, per dire, di uno Scajola. Soprattutto non può spiegare come si moralizza la politica e le auto blu avendo vicino chi si fa regalare Bentley e Ferrari. Inoltre ci permettiamo di suggerirgli di darsi una ripassata alla nostra adorata serie di Wall Street con Michael Douglas: c'è più da imparare lì che a un seminario dell'Aspen. Detto questo, il governo e il centrodestra commetterebbero un errore ancora più grave se mollassero Tremonti, o cedessero alla tentazione della lame duck, dell'anatra zoppa. Sappiamo che molti non aspettano altro: ma un ministro dell'Economia dimezzato, con l'Italia in guerra, e non avendo a disposizione un Diaz al posto di Cadorna, sarebbe, per dirlo tremontianamente, un rischio fatale.

Dai blog