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Quei balzelli della destra

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Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Nulla ci toglie l'idea che il miglior spot per il governo non sia tanto la sua attività, ma quella dell'opposizione. Un giorno di Val di Susa messa a ferro a fuoco dai No-Tav, di deliri grillini e di relativi balbettii sull'asse Vendola-Pd-L'Unità possono oscurare la sesquipedale fesseria della stretta sulle pensioni. Né ci convince la presa di distanza dalla violenza del Pd: parlare di squadre militarizzate “infiltrate nella protesta”, oppure come fa in maniera surreale il quotidiano fondato da Gramsci di “governo che si dilegua”, non costituisce quella condanna senza se e senza ma di cui parla Bersani. Se si condanna, lo si fa e basta. Per esempio dicendo a chiare lettere che nessuna alleanza sarà possibile a sinistra con chi ostenta comprensione verso questi ecologisti armati di ordigni all'ammoniaca. Alla stessa maniera se occorreva una prova evidente che non si smaltiscono i rifiuti senza discariche e senza termovalorizzatori, ecco il primo mese da sindaco di Napoli di De Magistris. L'ex pm, ormai affrancato da Di Pietro, aveva promesso di ripulire la città in cinque giorni: ne sono passati 35, il problema è di dove spedire l'immondizia, la colpa è ovviamente del governo e di altri oscuri complotti; ma ora neppure le giunte rosse vogliono prendersi questa spazzatura. Per la quale, tra l'altro, salta fuori che sono ancora da pagare i conti dovuti alle regioni “solidali” per l'export di immondizia partenopea degli anni scorsi. Le magagne, le ambiguità, l'assenza di cultura di governo di gran parte della sinistra non ci impedisce però di insistere sulle iniquità (gravi) e sulle debolezze (ancora più gravi) che Il Tempo ha individuato fin dal primo giorno nella manovra firmata da Berlusconi e Tremonti. Il testo inviato ieri mattina al Quirinale non solo conferma il blocco parziale o totale della rivalutazione delle pensioni a partire dai 1.500 euro (lordi), ma contiene un'altra bomba assai poco intelligente sganciata stavolta sulla testa dei risparmiatori. Cioè di quell'ampio popolo che ha finora tenuto in piedi il Paese, garantendo oltretutto la famosa e ampiamente pubblicizzata sostenibilità del debito pubblico. Si tratta di questo: il bollo sui depositi titoli, per il quale era già previsto l'aumento a 120 euro (da 34,2) manterrà questa soglia nell'immediato, ma dal 2013 subirà un'altra torchiatura. Potrà cioè salire fino 150 euro per le somme inferiori a 50 mila euro, ed a 380 per quelle superiori. Stiamo dunque parlando di una gabella che non solo si avvia a più che decuplicare, ma, fatti due conti, si mangia una fetta abbondante del rendimento atteso. Trecentottanta euro su 50 mila rappresentano circa un punto percentuale (lo 0,76): rispetto ad una remunerazione lorda non speculativa ipotizzata del 3 per cento essi rappresentano circa un terzo. Che superano già con le imposte attuali sugli interessi del 12,5 per cento. Figuriamoci quando queste imposte, con la annunciata legge delega sul fisco, diverranno il 20. È così che si tutela il risparmio? Nel testo inviato a Giorgio Napolitano rispunta poi il taglio al 30 per cento degli incentivi per l'energia verde che la grandissima parte dei consumatori paga attualmente con un sovrapprezzo in bolletta. Nonostante la sua apparente valenza antiecologista, su questo punto non abbiamo personalmente nulla da obiettare. Se la green economy è anche un business, e altamente remunerativo per chi la produce, è il momento che cominci a camminare un po' più sulle proprie gambe, e non su quelle degli utenti di energia non verde. Come del resto sta avvenendo in tutto il mondo. Del resto dopo la pietra tombale sul nucleare, le fonti alternative diverranno ben presto un obbligo per il mix energetico del Paese; e quindi si ridurrà il bisogno di incentivi. Come abbiamo detto resta per ora lo scandalo delle pensioni. Sul quale pare sia in atto nel governo uno scaricabarile, che ovviamente ci auguriamo si concluda con un emendamento al momento del passaggio in Parlamento: come ha chiesto Raffaele Bonanni, cioè un leader sindacale in ottimi rapporti con il governo (e in particolare con Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi), non un duro antipatizzante del centrodestra. È possibile che l'avere introdotto qualche altra gabella, o ridotto alcuni sgravi, precostituisca le condizioni per coprire l'eventuale correzione della stretta sulla previdenza. O per un suo spostamento verso gli assegni più alti, in nome di una sorta di equità. Ciò che davvero non riusciamo ancora a comprendere è come nessuno, dal Cavaliere al ministro dell'Economia, si sia ancora reso pienamente conto che non si scherza con chi ogni mese fa i conti con entrate sui 2 mila euro e conta gli spiccioli uno ad uno. Tanto più dopo avere annunciato, ma in grandissima parte resi futuribili e «salvo diritti acquisiti», tagli ai costi della politica. I diritti acquisiti non valgono per tutti? Le sforbiciate sono immediate solo nel paese reale, fuori dal Palazzo, dalle authority, dagli assessorati? Per tagliare seriamente i vitalizi, per adeguare gli stipendi di eletti e burocrati pubblici alla media «dei cinque maggiori paesi europei» è davvero necessario mettere al lavoro per mesi una commissione di studio, o basterebbe farsi mandare in tempo reale qualche cifra da Bruxelles, raffrontarla alle nostre, e quindi applicare lo stesso trattamento e gli stessi tempi utilizzati per i pensionati? Conosciamo la giusta ossessione, in particolare di Tremonti, per le pagelle europee, per il collocamento dei titoli pubblici, per le agenzie di rating. Che chiedono introiti certi e strutturali. Ma che cos'ha di strutturale questo congelamento di due anni? A meno che non lo si voglia rendere permanente, non era più logico, più europeo e soprattutto più equo aggiungere un altro tassello alla riforma della previdenza, innalzando in tempi ragionevoli e non biblici l'età di pensionamento delle donne? La nostra idea resta sempre la stessa: il marcamento a uomo in atto da troppo tempo, i sospetti e le gelosie, stanno infettando il centrodestra dei vecchi vizi della sinistra. A cominciare dalla perdita di contatto con la realtà. Che si recupera solo con la politica: quella giusta, con meno nomine e acclamazioni e più attenzione e orecchio alla gente comune. E dire che un tempo, in questo, Berlusconi era un mago. Avanti così, e Tav o non Tav finirà come alle ultime amministrative: tutti lì a chiedersi il perché.

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