Sulle pensioni Giulio imita la sinistra
Governo liberale e riformista solo a parole quello di Berlusconi e Tremonti. Almeno sul capitolo delle pensioni. La stretta sulle rivalutazioni degli assegni, un meccanismo che consente ai vitalizi di recuperare il potere d'acquisto perso, è un classico della sinistra. E che è utilizzata ogniqualvolta a Palazzo Chigi si è seduto un leader della gauche italiana. Così accade dal 1992, annus horribilis di crisi politica ed economica in Italia, e dell'arrivo alla guida dell'esecutivo di Giuliano Amato, che diede il primo colpo d'accetta al sistema pensionistico in vigore allora. Sicuramente da riformare perché nato in contesti e situazioni non più sostenibili, ma che fu condito con il primo stop all'indicizzazione delle rendite. Il decreto legge 384 del settembre 1992 sospese per l'anno successivo ogni forma di perequazione automatica degli assegni e sganciò la rivalutazione dall'aumento delle retribuzioni dei lavoratoti attivi. Il cambio radicale del sistema di calcolo delle pensioni è opera di Lamberto Dini, governo tecnico non politico, in carica nel 1995, e appoggiato in Parlamento dal centrosinistra e dalla Lega Nord. In tema di indicizzazione va leggero. Si limita a posticipare al 2009 ulteriori aumenti oltre a quelli legati al costo della vita. Insomma per le vacche grasse i pensionati, secondo Dini, dovevano aspettare. Nel frattempo però gli stessi si sarebbero dovuti sorbire nuovi governi di centrosinistra che non dimenticarono di mettere il sigillo su qualche codicillo legislativo per tagliuzzare importi e aumenti. La nuova presa di coscienza sulla possibilità di fare cassa bloccando gli scatti automatici arriva con Romano Prodi. Di nuovo sinistra e di nuovo riforma in senso restrittivo. Ma questa volta la tagliola sulle rivalutazioni è più pesante. La legge Finanziaria sospende, per tutto il 1998, la perequazione automatica per le pensioni di importo superiore a 5 volte quella minima. Mentre nel triennio tra il 1999 e il 2001 la stessa rivalutazione sarebbe stata pari al 30% dell'indice Istat per gli importi dei trattamenti pensionistici compresi tra 5 e 8 volte il trattamento minimo. E completamente eliminata per gli importi superiori a 8 volte lo stesso minimo. Non manca una fugace apparizione di D'Alema che, nel 1998, stabilisce che l'indicizzazione non si applica alla singola pensione ma a ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti. Obiettivo: colpire chi guadagna di più. Altro classico a sinistra. Passano gli anni. Si apre l'era dei governi Berlusconi. Liberali non solo a parole. Nei fatti la rivalutazione delle pensioni non è mai messa in discussione. Men che mai per gli importi medi. Niente paura. Per una nuova stretta basta attendere il ritorno di Prodi. Centrosinistra appunto. E così è. Nel 2008 una nuova riforma delle pensioni porta con se nuove, in realtà già usate, disposizioni per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte la pensione minima Inps (ai valori di allora pari a 3.545 euro). Sopra questa soglia e per tutto l'anno non viene concessa la rivalutazione. La storia dimostra, insomma, come sia stata la sinistra di governo a utilizzare senza remore il blocco delle indicizzazioni pensionistiche. Un sistema odioso di fare cassa che colpisce indiscriminatamente redditi che hanno poche opportunità di crescere in sintonia con il costo della vita. Un sistema per anni appaltato ai governi di centrosinistra. Per anni, appunto, fino a sabato scorso quando i tecnici della Ragioneria dello Stato e del ministero delle Finanze lo hanno riproposto a Tremonti. Gli stessi tecnici probabilmente che lo presentarono ad Amato e Prodi. Economisti che in fondo fanno il loro mestiere: impostano sul modello econometrico i tagli e calcolano i risparmi ottenuti. Matematica pura. Lontana però dalla realtà di un paese sempre pronto a sacrificarsi ma che, oggi, non perdona l'arrocco della classe politica sui tagli che dovrebbero interessarla. Tagli rinviati con un tratto di penna. In momenti del genere le gente attende segnali di moralità. Da tutti. Così intervenire sulle voci di bilancio che interessano le pensioni di importo medio è stato un autentico autogol. Il centrodestra si è comportato come il centrosinistra guidato da Visco e Prodi. Forse anche sul capitolo rivalutazioni il governo Berlusconi avrebbe potuto marcare la sua differenza rispetto alle gestioni precedenti. Ad esempio colpendo le pensioni 20 o 30 volte rispetto al trattamento minimo, multipli più grandi, insomma, di quanto previsto nella manovra. Bene sarebbe stato anche colpire chi, di pensioni, ne cumula due o tre superando senza problemi i 100 mila euro l'anno. Un contributo di solidarietà del 5% non sarebbe certo pesato. In fondo è lo stesso sacrificio posto su un analogo stipendio di un dirigente statale ancora attivo. Interventi di buonsenso. Ma forse questa fascia di pensioni è composta in massima parte da ex appartenenti alla casta politica e ai boiardi di Stato. Che di sacrifici proprio non ne vuole sentir parlare.