L'imposta di bollo uccide il mercato
L'imposta di bollo dello 0,15% sulle transazioni finanziarie contenuta nella bozza della manovra rischia di soffocare il mercato e di alimentare la speculazione. Ne sono convinti i trader fai-da-te, la Borsa, che teme uno svuotamento di Piazza Affari, e anche le banche che fanno i conti con le conseguenze della tassazione separata al 35% sugli utili delle attività finanziarie detenute per la negoziazione. Secondo Assosim, che rappresenta gli operatori del mercato mobiliare, la nuova tassa provocherà un esodo dei trader su piattaforme straniere e rischia di favorire l'insider trading e la manipolazione, rendendoli meno visibili alle autorità di vigilanza. «Proprio come la tassa sul macinato di manzoniana memoria, l'imposta sulle transazioni finanziarie allo studio potrebbe ridurre il gettito fiscale per l'erario italiano, sortendo l'effetto contrario rispetto alle attese. Qualsiasi aggravio di costi conseguente a provvedimenti normativi con efficacia limitata al solo territorio nazionale non produrrebbe altro effetto se non quello di indurre gli investitori locali a operare sui mercati esteri e/o per il tramite di intermediari esteri», scrive l'associazione in una nota. Cosa prevede il nuovo regime? In sostanza le banche devono creare una contabilità separata per le attività di trading per calcolare il risultato netto delle attività di negoziazione su cui applicare il 35%. Si prende a riferimento il valore all'inizio dell'esercizio e lo si pone a confronto con quello alla fine. Ma, se si determina una minusvalenza e non si riesce a recuperarla nei cinque anni successivi, si perde la possibilità di portare la deduzione la perdita. Il prelievo si somma e non si sostituisce alla nuova imposta di bollo pari all'1,5 per mille che la bozza conferma per le transazioni finanziarie. Per ogni eseguito, dunque si dovrà partire da un costo dello 0,3% del capitale, indipendentemente dal fatto se l'operazione venga chiusa in guadagno o in perdita. Il bollo inciderà su tutte le operazioni intermediate dalle banche sia dentro che fuori dai mercati regolati. Viene però riconosciuta l'esenzione ai titoli di Stato rispetto alle obbligazioni corporate, cosa che rischia di creare una discriminazione a vantaggio dei titoli di debito pubblico, già presente nelle vecchie norme abrogate negli anni Novanta e che dovrà essere coordinata con quelle europee. Le nuove norme, per giunta, rischiano di essere inefficaci nei confronti delle grandi investment bank internazionali, i principali attori del trading, che pure avendo sedi in Italia svolgono le attività di negoziazione attraverso la casa madre. Gli effetti della mossa di Tremonti, secondo gli operatori, sarebbero devastanti per il settore finanziario: si provocherebbe una emorragia di posti di lavoro nelle SIM, nelle banche di trading-online, nei giornali e siti finanziari, nelle software house che forniscono dati e piattaforme di trading. Si indebolirebbero patrimonialmente le stesse banche che si vogliono ora ripatrimonializzare (Unicredit, ad esempio, possiede Fineco che è la più grande banca di trading online). Stando ai dati del 2010 e in base ai calcoli fatti da uno studio di Royal Bank of Scotland, la tassazione separata avrebbe effetti marginalmente negativi proprio sull'istituto di Piazza Cordusio e sul Monte dei Paschi che generano guadagni netti positivi dagli asset finanziari soggetti alla nuova tassazione, per un valore complessivo rispettivamente di 47 e 390 milioni di euro. Questi due istituti sarebbero dunque, secondo la Royal Bank, «le più penalizzate dalla proposta del governo, anche se la misura della diluzione sarebbe piuttosto limitata e pari rispettivamente al 5% e al 6% degli utili adjusted». Il danno sarebbe anche strutturale. La Borsa italiana è storicamente uno dei mercati più liquidi d'Europa grazie a una evoluta piattaforma di trading e al regime di basse commissioni che la rende più appetibile rispetto ad altre Piazze meno periferiche. Non a caso, è molto alto il numero di contratti sui singoli titoli e sugli altri strumenti derivati da parte di investitori che cercano un profitto percentualmente basso. Con una tassazione dello 0,15% sulla transazioni ogni investitore partirebbe con uno svantaggio dello 0,3% su ogni titolo acquistato. In molti rinuncerebbero ad operare rendendo di fatto il mercato illiquido e dunque maggiormente soggetto a flash crash speculativi come quello che si è abbattuto sulle banche italiane venerdì scorso. Se si vuole davvero sconfiggere la speculazione, sostengono gli operatori, servono misure concertate a livello internazionale. Non una gabella da medioevo finanziario come quella del «Fissato bollato».