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Il rigore di Giulio è a zero sviluppo

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Lo schema di manovra che dovrebbe essere varato dal Consiglio dei Ministri appare come uno «zero a zero» tra Tremonti e Berlusconi. Per quel che è dato sapere attraverso le bozze che circolano, si tratta in realtà di «zero rigore e zero sviluppo». Il pareggio di bilancio infatti è rinviato a...legislatura morta. Il sostegno alla crescita economica è totalmente assente. Nulla di nulla si dice sul Sud. Si tratta, quindi, di un rigore «a babbo morto» che lascia i figli al freddo e al gelo di una crescita asfittica, i giovani così continueranno ad avere prospettive fragili e precarie che li priveranno del diritto di avere un proprio progetto di vita. Ma uno «zero a zero» tra Tremonti e Berlusconi non è un pareggio, per 21 milioni di famiglie, 5 milioni di imprese, 57 milioni di cittadini è una doppia sconfitta. Senza rigore vero e senza crescita sostenuta si aggravano le tre grandi spaccature del Paese: Nord-Sud, giovani-anziani, donne-uomini. E l'Italia si allontana dall'Europa. Non si tratta, allora, di effettuare un sondaggio o un referendum a favore o contro il Ministro dell'Economia e/o il Presidente del Consiglio, ma si tratta di avere a cuore da parte di tutti le sorti del Paese. Da una parte il finto rigore finanziario di Tremonti che frena la crescita è masochismo, se non un mero gioco delle tre carte. Dall'altra parte l'allentamento dei cordoni della borsa, mascherato da sostegno allo sviluppo, sarebbe irresponsabile se non folle. Nel primo caso si tratta di riprodurre tagli orizzontali e proporzionali su tutte le voci di spesa come fatto finora, per di più riferiti a valori tendenziali degli anni futuri che rappresentano di fatto aumenti di spesa rispetto ai dati concreti di questo anno. La controprova sta nelle manovre fatte in tutti questi anni e di fatto indicate anche nell'ultimo Def di aprile: poderosi aumenti di entrate che solo per un terzo vanno a riduzione del deficit e per due terzi vanno a copertura di aumenti di spesa corrente con tagli agli investimenti. Una manovra così fatta non può che frenare la crescita, ridurre l'occupazione e per di più non raggiungere l'obiettivo di azzerare il deficit. Infatti, dal 2008 ad oggi abbiamo fatto una manovra quasi ogni sei mesi, correndo dietro al deficit e riproducendo lo schema del cane che si morde la coda. Risultati ancora peggiori si otterrebbero se a fianco ai tagli lineari di spesa si vedessero aggiunti ulteriori aumenti di tasse, ticket o prebende varie, sempre soldi che escono dalle tasche degli italiani. Se, invece, si pensasse ad «allentare i cordoni della borsa», si tratterebbe di aggiungere ancor più spesa pubblica e/o concedere sgravi fiscali aumentando il deficit e quindi intraprendendo una strada di destabilizzazione finanziaria senza ritorno. Nelle attuali condizioni interne ed internazionali si tratta invece di fare subito vere scelte politiche, tagliando in modo mirato e verticale specifiche voci di spesa, sprechi, malversazioni ed «aree grigie» tra economia e politica. Tagliare gli stipendi dei Ministri e dei Parlamentari o i gettoni di presenza dei Consiglieri Comunali può certamente rappresentare un esempio doveroso da dare. Non sono questi, però, i veri «costi della politica». I costi della politica sono, invece, quei 60 miliardi e oltre di euro all'anno indicati anche dalla Corte dei Conti e che riguardano proprio quelle specifiche voci di spesa: acquisti delle Pubbliche Amministrazioni, fondi perduti, appalti ecc. Recuperando queste risorse ci sarebbe allora lo spazio per fare «Rigore e Sviluppo», compresa una riforma fiscale basata sul sostegno alle famiglie, alle imprese, aumentando investimenti infrastrutturali e destinando fondi per la ricerca, l'innovazione tecnologica, la formazione nonché risorse adeguate per le forze di Polizia e sicurezza. Come si dimostra nel recente Rapporto sull'Economia Italiana del Centro Studi Economia Reale, una manovra di questo tipo, sostiene la crescita, aumenta l'occupazione e raggiunge l'equilibrio finanziario. Il polverone delle polemiche personalizzate non fa altro che aumentare il differenziale dei tassi di interesse sui titoli di stato italiani verso quelli tedeschi e, di fatto, diventano un miope sostegno al finto rigore masochistico di Tremonti. Basti pensare che in queste settimane di polverone mediatico il differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi ha raggiunto il record storico di 220 punti base. Lo Stato Italiano cioè paga sui suoi titoli il 2,20% in più della Germania. Il debito pubblico italiano è quasi doppio rispetto a quello tedesco. Ne consegue che mentre si sollevava quel polverone di polemiche, si aggravava ulteriormente la spesa per interessi di quasi 40 miliardi di Euro l'anno, quasi quanto la manovra che dovrebbe tagliare il deficit. Non a caso nel Documento di Economia e Finanza di aprile è già previsto ,sulla base del prevedibile rialzo dei tassi su tutti i mercati internazionali, un aumento di spesa per interessi che va dai 70 miliardi del 2010 ai 100 miliardi del 2014. Se ci aggiungessimo un 2% in più dovuto alle nostre beghe interne, voleremmo verso i 140 miliardi. È bene, quindi, che chi ha a cuore le sorti del Paese «batta un colpo» con un dibattito serio e proposte alternative, costruttive e concrete.

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