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Rinviata la riduzione delle tasse

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Ancora una volta la grande illusione di una riforma fiscale già annunciata nel 1994 e sinora mai attuata. E da quel che ci è dato di capire anche questa volta la storia si ripeterà. Dietro gli annunci il nulla. Anzi, ad onor del vero, questa volta ci sarà uno schema di riforma fiscale con le famose tre aliquote, la riduzione o la soppressione dell'IRAP, un piccolo aumento dell'IVA e via di questo passo. Ma si tratterà, appunto, di uno schema che diventerà legge ma la cui attuazione pratica sarà realizzata attraverso decreti delegati a distanza di 12 - 18 mesi, guarda caso il tempo che ci separa dalle prossime elezioni. Alla fine di questa giostra insomma la riduzione delle tasse sarà rinviata al 2013 e l'aumento dell'IVA decorrerà dalla fine dell'anno. Sappiamo bene che nel governo c'è ormai uno scontro politico durissimo tra Berlusconi e Tremonti in cui la manovra economica c'entra come il cavolo a merenda. Tremonti sa che la forza vitale di Berlusconi è finita e il suo ciclo politico si avvia al tramonto. Lo sa lo stesso Berlusconi che nella sua solitudine (la corte che gli sta intorno non ha né il coraggio né le idee per aiutarlo) è sempre più attratto dalla sindrome del bunker e, come ci insegna la storia, resistere ad oltranza è un danno per il partito, per il paese e per se stesso. Ma da quest'orecchio Berlusconi non ci sente. Tremonti sa di questo crepuscolo berlusconiano e ritiene che questo sia il suo momento per assumere la guida del governo visto il prestigio, meritato o meno che sia, che gode nei circoli finanziari internazionali. È tutta qui la partita che si sta giocando nella maggioranza e la manovra economica correttiva è solo lo strumento scelto da Tremonti e da Berlusconi per vincere la battaglia e definire, una volte per tutte, chi è il primo attore. Quel che sappiamo è che la responsabilità dell'attuale drammatica situazione non può che essere comune ad entrambi. Detto questo, però, una parola in più sulla manovra va detta. Ancora una volta si tenta di far passare il messaggio di uno scontro tra chi vuole il rigore e chi, per garantire un tasso di crescita maggiore, vuole aprire i cordoni della borsa. Niente di più falso. Il risanamento della finanza pubblica passa inevitabilmente per un tasso di crescita dell'economia al di sopra del 2% l'anno. Lo Stato è come un'impresa. Se questa è indebitata, o aumenta il fatturato o il suo debito crescerà all'infinito. Un falso, dunque, quello dello scontro tra «rigoristi» e «lassisti» così come è falso che l'Italia stia meglio della Francia e della Germania perché ha un deficit annuale più basso. Il deficit di bilancio non si misura solo in termini di quantità ma anche in termini di qualità. Se nel 2009 e 2010 Francia e Germania hanno investito nell'economia reale, il loro deficit anche se cresce per 1 o 2 anni alimenterà una crescita sostenuta che lo farà rientrare rapidamente. Quando, invece un deficit, come quello nostro, è figlio dell'immobilismo e quindi della spesa corrente, il paese non vedrà mai giorno perché la sua economia sarà sempre più avvizzita e rattrappita. Se allora così stanno le cose quale dovrebbe essere la direzione di marcia? Sul terreno della spesa pubblica la politica dei tagli senza ridisegnare, riducendoli, i compiti dello Stato non porterà da nessuna parte. E ci spieghiamo. Se noi riduciamo la spesa per la nostra difesa senza decidere di ridurre contestualmente la forza militare italiana (da 200.000 unità a 100.000 tanto per fare un esempio) i tagli produrranno solo disastri perché non riusciremo ad addestrare i militari né a rinnovare i nostri armamenti. Se la spesa pubblica deve essere ridotta, insomma, devono anche essere ridotti i compiti della pubblica amministrazione centrale e periferica per evitare debito sommerso e crescente inefficienza. Sul terreno dello sviluppo si tratta di cominciare a spendere i soldi già stanziati nel bilancio dello Stato per le infrastrutture sempre annunciate e mai iniziate (lo scorso anno la spesa per investimenti è crollata del 18% rispetto all'anno precedente). Ed infine perché non concentrare sul costo del lavoro gran parte delle risorse impegnate per gli incentivi a pioggia nei settori produttivi? Avremmo un beneficio per l'intero comparto produttivo che recupererebbe competitività di prezzo e daremmo ai lavoratori un po' di risorse in più per tonificare la domanda di consumi. Solo qualche pillola di saggezza in un paese frantumato che presuppone, però, una coesione politica nel governo e nella maggioranza che sembra definitivamente esaurita.

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