Si dimette Milanese. Assedio a Tremonti
L’inchiesta napoletana sulla P4 comincia ad avere conseguenze anche sul governo Berlusconi. Marco Milanese, consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, ha infatti presentato le dimissioni. A distanza di poche settimane dalla maxi inchiesta napoletana, che ha mandato ai domiciliari Luigi Bisignani e ha sollevato il coperchio su una presunta organizzazione segreta che gestiva informazioni riservate, il deputato Pdl decide di fare un passo indietro. Un gesto, ha spiegato il parlamentare della maggioranza, necessario per «salvaguardare l'importante ufficio dalle polemiche sollevate da una doverosa testimonianza, in un momento così delicato per la stabilità economica e politica del Paese. In considerazione delle ultime vicende che vedono coinvolti altissimi ufficiali della Guardia di Finanza in un'indagine della procura di Napoli e che mi vedono interessato quale persona informata sui fatti, ritengo opportuno rassegnare le dimissioni da consigliere politico del ministro dell'Economia e delle Finanze». Insomma, il deputato Milanese, che non è indagato nell'inchiesta sulla P4, avrebbe deciso di lasciare la poltrona per evitare che il suo coinvolgimento, come testimone, possa danneggiare l'attività del Ministero. È certamente un duro colpo per il capo del dicastero Tremonti, anche se è estraneo all'inchiesta campana. L'avvocato del deputato, il penalista Bruno Larosa, ha dichiarato che il suo assistito «ha fatto soltanto il suo dovere». Milanese, afferma il legale, «ha reso le sommarie informazioni testimoniali, che sono ancora secretate, e ha partecipato al confronto con il generale Adinolfi senza alcuna assistenza legale, a differenza dell'altra persona». Dunque «ha fatto solo il suo dovere di cittadino e per questo sta subendo delle aggressioni verbali». Il nome del generale Adinolfi sarebbe appunto emerso nel corso di un interrogatorio del deputato del Pdl Milanese, ex ufficiale della Guardia di Finanza, indagato per corruzione in un'altra inchiesta, sempre della procura di Napoli, che lo vede coinvolto per i suoi presunti interessamenti per le nomine ai vertici di alcune società legate sia a Finmeccanica sia a Trenitalia. L'iscrizione sul registro degli indagati del capo di stato Maggiore delle Fiamme Gialle significa che i magistrati campani hanno intenzione di alzare il tiro per scoprire le «talpe» che avrebbero fornito al parlamentare Alfonso Papa, per il quale è stato chiesto l'arresto, e a Bisignani, le notizie riservate. Durante l'inchiesta, i pm hanno accertato contatti e rapporti tra alcuni membri o ex membri della Finanza e Papa. Alcuni testimoni hanno riferito agli inquirenti di sapere che Papa era «molto vicino» all'ex capo del Sismi Nicolò Pollari e gli investigatori hanno annotato più volte nelle informative gli incontri con il generale Poletti, davanti alla libreria Feltrinelli nella galleria Alberto Sordi. C'è poi il capitolo Pippo Marra. «È assolutamente ridicolo dire che il generale Adinolfi, per avvertire Bisignani, si sia servito di Pippo Marra: possibile che tra i due non ci fossero contatti? Mi sembra inverosimile». Lo dice l'avvocato Luigi Li Gotti, difensore del presidente dell'AdnKronos Giuseppe Marra, in relazione all'iscrizione di quest'ultimo sul registro degli indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento personale. «Se Bisignani si è dovuto rivolgere al parlamentare del Pdl Marco Milanese - continua Li Gotti, che è senatore dell'Idv - è evidente che lo ha fatto perché Marra non era in grado di dire di più di quel generico "non parlare al telefono" di cui riferisce lo stesso Bisignani nell'interrogatorio davanti al gip del 20 giugno scorso». Una frase che, tra l'altro, «si riferisce a un argomento molto remoto e, in ogni caso, al normale conversare: ha detto una cosa che tutti possono dire». Milanese, infine, avrebbe riferito ai pubblici ministeri che il generale della Guardia di Finanza Vito Bardi aveva detto al faccendiere Bisignani che era stata aperta un'indagine con l'uso delle intercettazioni.