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Di Pietro: parlare con Silvio non è reato

Colloquio tra il presidente del Consiglio ed il leader dell'Idv Antonio Di Pietro

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«Tra occupanti del potere e lobbies economiche c'è una reciproca solidarietà e copertura nel senso che determinati settori economici in particolare i settori legati all'edilizia, sono in simbiosi con i rappresentanti del potere pubblico, per garantirsi la continuità delle commesse con la controprestazione ben nota delle tangenti». È il giugno del 1992 quando il settimanale L'Espresso (n.26, anno XXXVIII) pubblica «le confessioni di Mario Chiesa», ovvero i testi dei tre interrogatori chiave (quelli del 23, 27 e 30 marzo dello stesso anno) al presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio di Milano, l'uomo da cui avrà inizio lo scoperchiamento di Tangentopoli. I dettagli della propria saga Mario Chiesa li racconterà ai giudici Antonio Di Pietro ed Italo Ghitti ma non c'è dubbio che il simbolo di quella stagione di Mani Pulite, che spazzerà via la Prima Repubblica - cambiando la storia politica nazionale e seppellendo la Dc, il Psi ed i partiti laici - si incarnerà nel primo: Antonio Di Pietro. Del resto lo si capiva pure da quel numero de L'Espresso di 19 anni fa. Poche pagine dopo la pubblicazione dei verbali con le confessioni di Mario Chiesa, il settimanale dedicava infatti un servizio all'attuale leader dell'Italia dei valori ed allora pm di Mani Pulite. Titolo dell'articolo: «E gli tirano le pietre». Sommario: «Discussione su Di Pietro. Ci salverà lui. No, paralizza le aziende. Ripulisce i partiti. Macché, smantella l'Italia. È cominciata la campagna contro il giudice di Tangentopoli». Sei pagine con pareri favorevoli e contrari a Tonino: con un'intervista al senatore del Pds Gerardo Chiaromonte che lo critica, spiegando che «il risanamento della vita politica è compito dei partiti, non della magistratura» e con una «storia del mito», dove tra le altre cose si cita una frase dell'intervento di Di Pietro, del 5 giugno di quell'anno, a Santa Margherita Ligure al convegno dei giovani industriali: «Fate una scelta prima che sia tardi: isolate e denunciate i corrotti». Lo abbiamo riletto in questi giorni quel vecchio numero de L'Espresso perché in queste ore Antonio Di Pietro è il protagonista di una svolta politica coraggiosa (almeno secondo noi): «Possiamo - si domanda - chiedere di tornare al Governo solo con l'antiberlusconismo?». Detto da lui che dell'opposizione intransigente al Cavaliere per anni ha fatto una bandiera, la cosa è di sicuro una novità. Il fatto è che Antonio di Pietro, per biografia, storia personale, parabola politica, non è un uomo di sinistra. Dell'Italia dei Valori, fondata nel 1998, dice che appartiene ad «una famiglia europea che si definisce liberale» e che non intende ghettizzarsi nell'opposizione di sinistra e quando gli domandano una ricetta per vincere spiega che «è finito il tempo di stare seduto sull'antiberlusconismo e vedere che succede. L'abbiamo fatto noi, meglio di tutti. Adesso bisogna proporre programmi al Paese. Io propongo di fare questo». La sua metamorfosi gli ha procurato gli elogi di Giuliano Ferrara, l'uomo che lo sfidò nel Mugello, era il 1997, quando Tonino si candidò a senatore con l'appoggio del Pds, e che oggi lo saluta con un «habemus statistam». Lo elogiano, il nuovo corso dipietrista, pure quotidiani di area di centrodestra mentre La Repubblica un po' meno e ieri titolava a pagina 14: «Nell'Idv raccolta di firme contro Di Pietro». In effetti un pezzo della base antiberlusconiana e dell'elettorato dell'Italia dei valori sembra non aver digerito la svolta politica e lo dice sui blog, in internet, ma il punto è che - e chi ha letto Nicolò Machiavelli dovrebbe saperlo - il leader deve cogliere la pancia di un paese, di un elettorato, della gente e decidere come agire ma mai farsi dettare l'agenda, neppure via web. Per questo nella parabola politica di Antonio Di Pietro, compresa la svolta di quest'anno, noi vediamo le antenne di chi - si può esser d'accordo e contrastarlo - coglie la pancia degli accadimenti. Nel 1992 diventa simbolo di Mani Pulite con un'inchiesta che lo trasforma nell'eroe nazionale degli italiani che, allora, non ce la facevano più a reggere il vecchio sistema politico. Oggi, nel 2011, Tonino con i quattro quesiti referendari a cui in pochissimi - tranne lui - hanno creduto sin dall'inizio sembra aver colto un'altra mutazione nelle viscere nazionali: la voglia di un ritorno alle cose semplici e razionali: il merito, la legge uguale per tutti e, soprattutto, l'acqua, l'aria e la terra pulite, beni essenziali. Che lo abbia fatto lui non è un caso visto che ama la terra, fa il contadino (come il padre Giuseppe) nella sua Montenero di Bisaccia (quando può) e sale pure sul trattore. In questa sua metamorfosi, per nulla kafkiana, Di Pietro ha ritrovato anche il piacere dell'umana pietas, quando parlando di Berlusconi e di una passata malattia ha sottolineato come «di fronte alla sofferenza ed alla fragilità umane, solo un miserabile si rallegra e si augura il peggio. Un uomo, se è un uomo, esprime solidarietà». Sarà che Di Pietro ha conosciuto, e da protagonista, la frana della I Repubblica, vedendo con gli occhi di pm lo smottamento di politica e società civile ed economica, sarà che lui e Berlusconi sono comunque l'ultima novità non ortodossa (tranne, forse, Beppe Grillo) della politica italiana degli ultimi venti anni, sarà che il tempo passa per tutti - tra errori e cose azzeccate - ma questo nuovo Antonio Di Pietro - vedrete! - riserverà delle sorprese. Purché continui a fare di testa sua, magari sbagliando, e ricordandosi di quel titolo del 12 giugno 1992, sulla prima pagina del Wall Street Journal, edizione europea: «Go for it Di Pietro», vai avanti. Appunto, vai avanti Tonino: l'antiberlusconismo nel 2011 è roba da sottoscala e parlare con il Cavaliere non è reato. Vivaddio.

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