La lezione di Di Pietro
Ma Di Pietro aveva messo in conto le critiche? Le curve dei tifosi come avrebbero potuto accettare tranquillamente una discussione pacata tra il leader dell'Idv e Berlusconi? Soprattutto nel giorno in cui rivolge in Aula severe parole di critica dal Pdl. Palese il fastidio dei vertici del maggior partito di sinistra, significativo il commento di Enrico Letta, vice di Bersani, convinto che Tonino abbia dato una mano al premier. E così sulla rete si scatena la bagarre. C'è chi dà a Di Pietro del venduto, chi minaccia di non votarlo più, chi si chiede se la nuova stagione dell'Idv sia quella di sostenere il premier. Spara grossolanamente il segretario della Cgil, Camusso, lei se ne sarebbe andata con una scusa, non avrebbe dialogato con il presidente del Consiglio. Complimenti alla sindacalista. Si capisce ora perché quel sindacato non fa accordi: non parla con le controparti. È così che avviene nelle democrazie occidentali? Due parole scambiate in pubblico, nell'Aula di Montecitorio possono favorire i sospetti di chissà quali manovre? E questa sarebbe la maturità di chi si candida a governare l'Italia? Evidentemente per una parte del Paese il Cavaliere è il male assoluto. Il nemico da abbattere. Altro che confronto. Anche Di Pietro ha le sue responsabilità, in fondo le parole più dure contro il premier le ha usate lui. È stato lui a esasperare i toni. Ma dopo i referendum Di Pietro ha cambiato registro. Tattica? Oppure la convinzione che sia ora di archiviare la demonizzazione dell'avversario per offrire agli elettori una coalizione credibile? Ma Di Pietro è costretto a giustificarsi: è stato Berlusconi ad avvicinarsi. Cosa gli ha detto? «Che se ne deve andare, che per il bene del Paese dovrebbe avere il senso di responsabilità di lasciare il governo. E che altro dovevo fare, menargli?». È piccato Di Pietro e più che ai militanti si rivolge all'amico-nemico Bersani. «Io mi batto contro Berlusconi da 16 anni. Molti di quelli che si sono scandalizzati per quel colloquio mi hanno criticato per anni dicendo che facevo un'opposizione troppo intransigente». Inoltre «nessuno con un grano di sale in zucca può pensare che io sia diventato berlusconiano». E allora perché tutte queste critiche incomprensibili? Si chiede Tonino. «Secondo me perché io non mi accontento di un plebiscito che metta fine al berlusconismo ma voglio che il centrosinistra si dia un programma politico che non può essere solo dire no a Berlusconi e alle sue leggi. Se vogliamo non solo vincere ma anche governare e fare qualcosa di buono per questo Paese dobbiamo prima capire che vogliamo fare, con chi e perché». Soprattutto in questa ultima parte Di Pietro mette il dito sulla piaga, denuncia l'incapacità dell'opposizione di costruire un programma di governo, una politica coerente delle alleanze. Denuncia il rischio che si ripeta l'esperienza dell'ultimo governo Prodi. Con una coalizione elettorale costruita esclusivamente contro Berlusconi. L'odio per il Cavaliere come il solo cemento per tenere unito un esercito confuso e contraddittorio. Un esercito che si è sfaldato quando è stato chiamato a governare. Un rischio ancora attuale tanto da spingere il più antiberlusconiano dei leader italiani a cambiare marcia. Forse il meno politico del centrosinistra ha dato una lezione politica ai suoi alleati. Se la raccolgono sarà un bene per il Paese chiunque governi.