Bossi-Maroni diventano fratelli coltelli
Incasa Lega volano coltelli. La tanto sbandierata unità che Bossi, Maroni e Calderoli hanno voluto dimostrare domenica scorsa dal palco di Pontida ha dato segni di cedimento. Tutto si è svolto ieri pomeriggio in piazza Montecitorio quando un giornalista ha chiesto al Senatùr se avesse notato l'insoddisfazione del ministro dell'Interno a riguardo dell'esito della riunione del giorno prima. (I deputati leghisti si erano riuniti per eleggere il proprio capogruppo. Favorito era il maroniano Stucchi ma, dopo la benedizione del «capo» è stato riconfermato Marco Reguzzoni, ndr). Una domanda scomoda ma che dato l'occasione di sfogarsi all'Umberto. «Peggio per lui» è stato il suo commento glaciale. Poche parole che nascondono tutta la stizza di un leader che sente attorno a se aria di «regicidio». E così, a differenza di qualche ora da quella che Bossi tenta di definire una riunione dove «tutto è andato benissimo», emerge un situazione critica che vede crescere, anche all'interno del Carrocio, la voglia del cambiamento. Tutti smentiscono, anzi, è bastato che l'altra sera Bossi dicesse ai suoi di rieleggere un suo pupillo a guida del gruppo alla Camera che nessuno ha avuto il coraggio di mettersi di traverso. Eppure nonostante il Senatùr dica che «non ci sono liti dove ci sono io», qualcosa è cambiato. Ormai quel «cerchio magico» (ovvero i pochissimi pretoriani che hanno da sempre accesso a casa dell'Umberto come, oltre a Reguzzoni, il collega del Senato Federico Bricolo e Rosy Mauro) inizia a sgretolarsi. Sono le prime avvisaglie di un malessere verso una gestione del partito che da più di 21 anni gravita attorno ad un unico uomo. Un «vecchio leone» che vuole dimostrare di essere ancora influente ma che, invece, si trova a fare i conti con un movimento che ha voglia di rinnovamento. Una cosa che Bossi vuol far finta di non vedere. E quando, al Tg3 che gli chiedeva se nella Lega la situazione sia sotto controllo e lui lanciava l'ennesima stoccata al ministro leghista («è la base che tiene sotto controllo la Lega, non Maroni»), dimostra l'esatto contrario di quanto gli ha voluto dire la sua gente a Pontida. È vero i leghisti gridavano «secessione» e non «successione», ma è anche vero che quello stesso popolo nordista aveva srotolato uno striscione lungo 20 metri con su scritto «Maroni presidente del consiglio subito» e girava per il «sacro prato» con volantini inneggianti a Bobo. Ma questo per ora non importa al Senatùr. Quello che a lui interessa ora è tenere salda la leadership nella convinzione convinto di essere l'unico in grado di garantire la «pace sociale» nel Carroccio.