Silvio torna Presidente
La frase è quella che non ti aspetti da Berlusconi: «Non voglio rimanere per sempre a Palazzo Chigi o leader del Pdl». Poi la promessa: «Ho la fermissima intenzione di lasciare all'Italia un grande partito legato al Ppe trasparente e democratico». Le parole arrivano nell'aula del Senato dove ieri pomeriggio il premier ha presentato la sua relazione – come chiesto da Napolitano – sull'ingresso al governo di nuovi esponenti e fanno capire che per la prima volta il Cavaliere ammette seriamente che alle prossime elezioni del 2013 ci potrà essere qualcun altro al suo posto. Certo, c'era stata qualche altra apertura, qualche altro annuncio, ma stavolta è il luogo che dà forza: un intervento ufficiale nell'aula di palazzo Madama. Ma è tutto il discorso di Berlusconi che, al contrario di altre occasioni, è giocato su toni morbidi, pacati, su aperture all'opposizione e ai centristi, sul rispetto istituzionale per il Capo dello Stato e soprattutto sul recupero di Giulio Tremonti. Il ministro dell'economia ha vissuto settimane durissime, «scaricato» dal suo sponsor più fedele, Umberto Bossi e in forte contrasto proprio con Berlusconi sulla riforma fiscale. Stavolta, invece, il premier lo difende, archivia le polemiche con il responsabile dell'economia come «rappresentazione grottesca», ed esalta il suo lavoro fatto in passato: «Tutti sanno e tutti ci riconoscono che la conduzione della politica economica dell'Esecutivo nel corso della crisi ci ha salvato da una minaccia di default finanziario, parola che in italiano suona in modo ancora più sinistro, cioè fallimento». «Le agenzie di rating ci tengono sotto osservazione – è l'avvertimento – e le locuste della speculazione aspettano solo l'occasione giusta per colpire le prossime prede che mostrino segni di debolezza». Ma la riforma fiscale preparata da Tremonti, che verrà presentata «prima della pausa estiva» e che è esattamente quella che aveva in mente Berlusconi «non avverrà in deficit». «Vi saranno meno aliquote (solo tre invece che le cinque attuali) e più basse – spiega il premier – un sistema di detrazioni e deduzioni più snello e trasparente, in coerenza con gli obiettivi generali della riforma, una riduzione a cinque del numero delle imposte». Berlusconi sa che sia il Pdl sia la Lega ora si aspettano da lui uno scatto in avanti. E il discorso è tranquillizzante: so cosa è successo con le amministrative e con il referendum, so che la situazione è cambiata. Ma comunque il governo andrà avanti fino al 2013: «Non sto dicendo "Dopo di me verrà il diluvio", so bene che i cimiteri sono pieni di persone che si ritenevano indispensabili. Mi limito ad osservare che l'alleanza tra Pdl e Lega, con l'apporto di forze responsabili del Parlamento, è l'unico assetto politico in grado di garantire la governabilità e l'affidabilità internazionale del Paese». Anche perché l'opposizione è divisa: «Le contraddizioni della minoranza sono ben più gravi e radicate dei travagli che la nostra maggioranza ha dovuto subire». Berlusconi vuole però lasciare aperta la porta a Casini, il suo chiodo fisso è quello di riportarlo nel centrodestra: «Tra i centristi è prevalso il desiderio di rimanere a giocare di rimessa. Ma io non dispero». E l'opposizione, nonostante tutto, «può sicuramente dare dare nei prossimi mesi un importante contributo all'eleborazione di misure e riforme». Alla fine i senatori del Pdl sono tutti in piedi ad applaudire, i leghisti battono le mani ma restano seduti. Qualcuno fa notare che Bossi non si è visto in aula. Ma dalla Lega minimizzano: alla Camera oggi ci sarà.