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Giù le mani da Equitalia

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Il primo a raccomandare massima correttezza nella caccia agli evasori era stato proprio lui, il grande cacciatore. Con una lettera inviata già otto mesi fa a tutti i suoi direttori centrali e regionali, Attilio Befera, che guida Equitalia, la società pubblica incaricata di riscuotere i tributi, ricordava con legittimo orgoglio gli ottimi risultati ottenuti a spese, finalmente, di chi non paga le tasse (o ne paga meno del dovuto). Ma, allo stesso tempo, sull'onda di lamentele ricevute, Befera ammoniva i suoi a evitare soprusi, arroganze, «comportamenti non ammissibili» - scriveva testualmente - nei confronti delle persone sottoposte ai controlli. Non solo nel meraviglioso Paese di Alice, ma perfino nel nostro, che è vittima d'ogni ritardo e inefficienza burocratica, un uomo del genere, che invita i suoi controllori a non dimenticare mai i diritti dei cittadini, dovrebbe essere la migliore garanzia di equità per Equitalia. E se nemmeno l'altolà del direttore Befera bastasse, se nonostante il forte richiamo qualcuno eccedesse in azioni riprovevoli o addirittura illecite, c'è sempre un giudice, un giornale, un'associazione di categoria capaci di frenare, denunciare, contestare l'abuso. Davvero si fatica a comprendere, allora, a chi e a cosa alludesse Umberto Bossi quando, nella domenica di Pontida, se l'è presa genericamente con Equitalia per supposti sequestri di trattori o presunte confische di proprietà agricole a danno dei lavoratori della terra. Verso i quali, intendiamoci bene, la nostra ammirazione è sconfinata, dato il mestiere durissimo e bellissimo che svolgono. Ma neanche agli amati contadini, neanche ai coltivatori diretti e ai piccoli, grandi imprenditori delle quote latte dev'essere consentito quel che a nessun medico, impiegato, artista o tecnico di laboratorio sarebbe consentito: evadere le tasse. Perché se è vero, com'è vero, che il carico fiscale è arrivato a livelli insopportabili per chi paga le imposte, la grande questione che viene prima perfino delle aliquote ingiuste è come colpire l'evasione, che è il più intollerabile atto anti-civico da parte di un cittadino. Paghiamo tutti di più, soprattutto perché una parte non piccola di italiani non paga. Questa è la priorità fiscale. L'importante, voglio dire, è che si sequestri il trattore giusto e al termine di una verifica profonda e ragionevole, non già che, nel nome di un'inaccettabile impunità da riservare a questo o a quel ceto di lavoratori, si escluda a priori la possibilità di sequestrare il trattore a chi s'infischia di pagare le tasse: e così noi dobbiamo pagarle per lui. Il governo non può e non deve avere dubbi al riguardo: più poteri - e non meno - ad Equitalia. Maggiori competenze ad Attilio Befera e ai suoi controllori che sono sempre e comunque controllati e controllabili dal sistema democratico. Ma basta col ritornello demagogico delle «ganasce fiscali», delle «angherie fiscali», delle «persecuzioni fiscali» in un Paese che rappresenta la sesta economia del mondo per ricchezza prodotta (comprendendovi, come si deve, la parte «non dichiarata»), ma dove soltanto lo 0,95 per cento dei contribuenti rende esplicito un reddito sopra i centomila euro all'anno! Ripetiamolo: 0,95 per cento degli italiani, e si parla di reddito lordo, neppure netto. Questo è il male, non il presunto sequestro di un trattore nell'ambito di un accertamento per evasione,

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