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Se non sei di sinistra diventi un androide

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Ha ragione Raffaele Iannuzzi. L'odio della nostra gauche non solo per Berlusconi e il suo popolo ma per chiunque si permetta di non riconoscerle quel primato etico-politico che essa non cessa di sventolare, è un odio squisitamente "ontologico". Esso infatti non nasce affatto, come si potrebbe credere, dalla convinzione di essere depositaria e portatrice di idee e programmi migliori di quelli dei suoi avversari, ma dal bisogno di credere nella propria assoluta superiorità. Questa superiorità si vuole al tempo stesso politica, morale e culturale. Insomma, per farla breve, si pretende "spirituale". Occorre solo aggiungere che il bisogno di credere in essa è diventato, paradossalmente, più imperioso e disperato che mai proprio da quando la storia, avendo dimostrato, ormai più di vent'anni fa, la disastrosa fallacia di tutte le precedenti dottrine e illusioni dell'homo sinistrensis, l'ha privato di qualsiasi idea che non sia appunto la sua ridicola "fede" nella propria suprema eccellenza. Quanto incrollabile possa essere questa "fede", risulta dagli innumerevoli testi in cui viene espressa da anni con sempre maggiore vaghezza e prosopopea. Il più candidamente delirante di questi testi resta probabilmente il passo in cui Enrico Berlinguer, nel luglio del '79, definì i comunisti "gli eredi, i continuatori e gli interpreti di tutto ciò che di più alto è stato accumulato nei secoli dall'umanità". Poche volte tuttavia la stessa fede è stata enunciata con l'ingenua chiarezza delle parole con cui, qualche tempo fa, una sua colta e fervida devota, avendo avvertito il bisogno di chiarire quali potessero essere i tratti teorici e pratici di una vera e schietta sinistra nel tempo del tramonto di tutte le sue antiche certezze, scodellò imperterrita la seguente definizione: "La sinistra non va necessariamente identificata con questa o quella dottrina, con questa o con quella strategia, ma piuttosto con la volontà di cambiare le cose ponendo l'accento sull'uomo: l'uomo con i suoi bisogni materiali, la sua aspirazione alla sopravvivenza fisica, ma anche con le sue esigenze morali, con la sua necessità di un equilibrato rapporto con la natura, con il suo desiderio di tutelare e ampliare il suo spazio di libertà come cittadino e come abitante di un universo sempre più popolato dalle macchine; l'uomo con le sue emozioni, i suoi umori, i suoi sentimenti e, perché no? con le sue debolezze". Tutto ciò che è umano è dunque "di sinistra" e "la sinistra" è tutto ciò che è umano: ecco quanto si evinceva da quelle righe davvero ispirate. Era ed è, né più né meno, la sublime idea di una "sinistra" capace di soddisfare "tutti" i bisogni umani, materiali e sentimentali, naturali e culturali, morali e umorali, emozionali e forse persino perversi e viziosi, come si può immaginare che siano le non precisate "debolezze" a cui quella gentile signora aveva alluso alla fine del suo pistolotto. Ragion per cui mi fu subito chiaro che la citata definizione apparteneva già alla categoria delle utopie totalizzanti e per ciò stesso totalitarie. A rivelare la potenza logica e concettuale della mente che l'aveva concepita bastava comunque il fatto che era possibile dedurne le seguenti tre ammalianti circostanze: 1) Se tutto ciò che è umano è di sinistra, bisognerà escludere dall'àmbito dell'umano, ossia dalla cerchia dei nostri simili, tutti coloro che si incaponiscono a spassarsela a destra o al centro, così promuovendoli al rango di androidi: 2) Essendo indubbiamente anche lo stato attuale della società un "fatto umano", quella volontà di cambiare le cose che l'autore di questo passo mostra di apprezzare molto sembra assolutamente incompatibile con la sua stessa idea di una sinistra capace di accogliere nel proprio seno l'intera gamma delle umane possibilità, 3) Poiché fra le "debolezze" che questa onnivora e onnipotente sinistra vorrebbe tollerare e tutelare figurano ovviamente anche istinti come la ferocia degli assassini, la brutalità degli stupratori, la crudeltà dei tiranni, la bramosia dei ladri, l'astuzia degli impostori e così via, nonché la vanagloriosa ambizione di infliggere al prossimo micidiali lezioncine etico-politiche come questo testo, nonché la tendenza (vivissima nel sottoscritto) a mandare a quel paese simili scocciatori, sembra improbabile che il progetto culturale e politico di assecondare simultaneamente tante disparate inclinazioni possa essere attuato senza pregiudicare la sopravvivenza della specie. Ma chi è l'autore del passo citato? Si direbbe un pensatore buonista politicamente corretto di oggi. Invece lo scrisse, nell'ormai lontano 1984, ottenendo molti complimenti dalla cerchia dei suoi ammiratori, una nostra dotta e pensosa collega che ci ha lasciato purtroppo vent'anni fa: Rosellina Balbi. Che lo pubblicò sulle pagine di quella fucina del pensiero sinistresco che è la Repubblica. E ciò prova che il primato della gauche è una balla appunto "ontologica", nonché vagamente razzistica, che ha purtroppo i secoli contati.  

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