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Prove di successione. Maroni avanza

Roberto Maroni

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Il «Capo» è sempre il «Capo» ma, dopo quasi ventidue anni di indiscussa reggenza, la base leghista inizia a scalpitare. Nessuno ha il coraggio di dire a Bossi di farsi da parte. Lui è l'anima della Lega. Ma il tempo passa e la base leghista vuole mandare all'Umberto segnali ben precisi. È ora dell'avvicendamento. È ora che l'ormai settantenne Senatùr inizi a pensare a chi cedere lo scettro di quel movimento che lo nominò segretario il 4 dicembre 1989. E ieri i Lùmbard hanno formalizzato la loro richiesta. Lo hanno fatto nel modo più diretto che potesse esistere ovvero posizionando di fronte al palco dal quale Bossi ha tenuto il suo comizio uno striscione lungo una ventina di metri e scritto a caratteri cubitali che diceva: «Maroni presidente del Consiglio!». E poi arricchito dalla scritta: «Subito». Una frase che da tempo circola tra i militanti nelle sedi leghiste ma che in un momento così delicato assume un valore del tutto particolare. Quando poi le scritte si trasformano in acclamazioni e ovazioni allora anche a Bossi non resta che prenderne atto e lasciare tutta la scena al suo rampante ministro. Una situazione che aveva messo in evidente imbarazzo lo stesso Maroni. Sono stati vani, però, tutti i tentativi di placare la foga della «base» con dei cenni di mano. La sua gente lo acclama e non si placa fino a quando il ministro non prende la parola. Prima un «dovuto» gesto di rispetto nei confronti dell'Umberto: «Il Capo ha già detto tutto: chi ha orecchie per intendere, a Roma ha già inteso». Poi però vuole tutta la scena per sé. Il suo obiettivo è parlare alla pancia dei Lùmbard. Farli sognare. Raccontargli che la Lega è ancora un grande movimento «alla faccia di tutti i gufi romani che dicevano che a Pontida non sarebbe venuto nessuno». Li rassicura: «Uno che si chiama come me come fa a mollare». E poi detta l'agenda delle cose da fare. Tocca tutti quei temi che piacciono ai leghisti. Parte con i profughi: «Per fermarli c'è solo un modo: fermare la guerra». Poi attacca la magistratura: «Ci è contro. È a favore dei clandestini. Ma noi non molleremo mai». Continua rivolgendosi ai 52 neoeletti sindaci nordisti che avevano appena giurato fedeltà alla Lega rassicurandoli che a breve «bisogna rivedere il patto di stabilità e togliere le spese per la sicurezza». La folla è con lui. Ma non solo. Ecco, infatti, che anche dai vertici del Carroccio arrivano i primi segnali di riconoscimento. Il primo è del viceministro alle Infrastrutture, Roberto Castelli che commenta: «Maroni sarebbe sicuramente un ottimo presidente del Consiglio». Altro sostenitore della candidatura del ministro dell'Interno a Palazzo Chigi è l'europarlamentare Matteo Salvini: «Penso che nove persone su 10 la pensino così». Tutta stima che onorerà sicuramente Maroni ma che ora è impegnato in ben altre questioni. A lui, ora, interessa ben altro e, nonostante davanti agli 80mila di Pontida abbia voluto sottolineare quanto unita sia la Lega, in cuor suo sa che appena il «Capo» deciderà di mollare, lo scranno più alto di Via Bellerio toccherà a lui. Dopotutto è ciò che ha chiesto quel popolo di «barbari sognatori» che, ieri, lo ha acclamato.

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