La depressione della Padania
Ventuno anni fa, nell'ottobre del 1990, l'editore Laterza pubblicò un libro intitolato "Una Costituzione per i prossimi trent'anni", un libro intervista a Gianfranco Miglio curato da Marcello Staglieno. Il professor Miglio, un lombardo nato a Como, grande studioso di Carl Schmitt, brillantissimo professore di Scienza Politica alla Cattolica di Milano, proponeva una ricetta-shock per l'Italia: il passaggio dalla Prima alla Terza Repubblica, saltando a piè pari la Seconda. Quello di Miglio non era un puro esercizio intellettuale sul futuro, ma una visione precisa della dissoluzione del sistema istituzionale italiano che di lì a poco si sarebbe fatto vivo con il tintinnìo delle manette e Tangentopoli. In quel libro vi erano profetiche considerazioni sul declino e sulla necessità non di una transizione ma di una vera e propria rivoluzione verso un assetto istituzionale profondamente diverso: un'Italia federale, divisa in macroregioni, ridisegnata con una nuova Costituzione, soprattutto in materia economica; più poteri alla Corte Costituzionale e alla Corte dei Conti; con la formula di governo del primo ministro che sceglie ministri non parlamentari; un Senato trasformato in Camera delle Regioni; la soppressione dell'inutile e costosissimo Cnel e la creazione di un Consiglio dell'economia produttiva. Le idee di Miglio trovarono ascolto in Umberto Bossi. Il Senatur aveva intuito come pochi che il nostro sistema stava per saltare in aria, ma aveva bisogno di un apparato ideologico per il suo partito. Miglio glielo fornì e la Lega si presentò agli italiani come un fenomeno dirompente, una vera e propria rivoluzione culturale che dietro la parola "secessione" aveva un'idea diversa dello Stato e dei rapporti tra cittadini. Erano gli stessi anni in cui la Fondazione Agnelli (1992) lanciava il dibattito sull'Italia federale e faceva una proposta di riforma organica (1994) che aveva molti punti di contatto con le idee di Miglio. Vent'anni dopo sul prato di Pontida Umberto Bossi ha seppellito tutto questo per tornare al magma originario che ha una sola parola evocativa, "secessione", e una confusa e contraddittoria visione della realtà italiana e del mondo. Ieri abbiamo visto chiaramente che la Lega è un partito in crisi d'identità, logorato dalla sua incapacità di trasformarsi seriamente da partito di lotta in partito di governo. La dispersione del pensiero di Miglio, la sgangherata lettura dei problemi italiani e la scarsa capacità di capire i fenomeni della globalizzazione sono emersi con una potenza impressionante. Qual è la proposta leghista per il domani? Non pervenuta. Fermare la lettura della contemporaneità alle quote latte degli allevatori padani, alle ganasce fiscali di Equitalia, allo spostamento folle nel Nord di quattro ministeri, alla giustificazione dell'evasione fiscale tout court e del "cittadino debitore dello Stato", è come infilarsi in un'autostrada senza avere la benzina sufficiente per arrivare al casello d'uscita. Alla fine resti in mezzo al traffico, ti superano e se viaggi di notte finisci per essere investito dal camion della storia. E infatti l'uscita non c'è, non esiste, la proposta manca e si tramuta in strumentale minaccia: di crisi di governo, di cambio di premiership (come se fosse un tema che riguarda solo la Lega), di rivolta sociale e naturalmente secessione. Bossi nel suo discorso ha resettato tutto: la presenza al governo, il non trascurabile dettaglio che il ministro Roberto Maroni guida il Viminale (con tutto quel che ne consegue sulle politiche d'immigrazione), la lottizzazione alla quale ha partecipato senza indugi, il controllo di intere regioni, la mancata cancellazione delle province come stabilito dal programma elettorale del Pdl. Non siamo di fronte ad episodi, ma a un fil rouge della storia leghista che il nostro Francesco Damato ricostruisce da par suo nelle pagine seguenti de Il Tempo. Se Berlusconi e il berlusconismo sono in declino, Bossi e il bossismo sono in un vicolo cieco. Se il Cavaliere ha problemi a riprendere il filo della narrazione del suo sogno, il Senatur ne ha smarrito completamente la trama. Se il Pdl è un progetto da rifare, la Lega è un partito che passa dal sogno dell'Egemonia del Nord alla trincea di una guerriglia che conduce dritti alla fine di tutto. "Maroni presidente del Consiglio" recitava uno striscione issato dai militanti di Pontida. Mai come ieri la Lega è apparsa lontana da Palazzo Chigi e mai come ieri appaiono profetiche queste parole del professor Miglio: «I sistemi politici non possono mai essere "immobilizzati" su un certo livello: essi non cessano mai di evolversi e, se non si raddrizzano, continuano a peggiorare». E allora cari amici della Lega e del Pdl, vi conviene sedervi attorno a un tavolo, tirare un lungo respiro, contare fino a dieci e riprendere il filo della politica. Provate a raddrizzare l'Italia, finché siete in tempo, perché dopo c'è solo lo sfascio.