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"Al Nord vogliamo quattro ministeri"

Il leader della Lega Nord, Umberto Bossi

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L'Umberto, come lo chiamano i suoi fedelissimi, affonderà pure le sue radici familiari nella fertile terra del profondo Nord ma è anche il massimo esperto della meridionalissima arte del vendere tappeti: chiedere cento per ottenere dieci. Nel suk della politica sguazza da oltre quindici anni riuscendo sempre ad ottenere ciò che vuole e passare per alleato fedele. E figurarsi se – in una fase politica così effervescente e fluida, in cui tutto prende la consistenza di una maionese impazzita – il leader del Carroccio si faceva scappare l'occasione per alzare ancora un po' il prezzo. Ben sapendo che alternative all'alleanza con Berlusconi non ce ne sono il Senatùr non rinuncia comunque a giocare la sua specialità, il tiro al rialzo. E ieri, alla fine di un crescendo di dichiarazioni che hanno alimentato la settimana che ha preceduto il raduno di oggi a Pontida, ha sparato di nuovo alto, sfruttando il tema che più eccita l'immaginario dei suoi padani: il trasferimento dei ministeri da Roma al Nord. Quattro ne vuole l'Umberto. «Come mai non c'è il ministero del Lavoro a Milano? – ha tuonato intervenendo alla presentazione della scuola superiore di magistratura di Bergamo – La Lombardia è dove si lavora di più e domani chiederemo altri tre ministeri a Monza». Quali? Il Bossi non aspettava altro: «Vi dico anche i nomi: Calderoli, Bossi e Tremonti a Monza». Poi il colpo a effetto: «Domani ci saranno altre sorprese». Sono passati ventuno anni da quando il leader leghista «inventò» il raduno di Pontida, ma forse per la prima volta l'appuntamento delle camicie verdi, nel tempo snobbato e sbertucciato dalla politica ufficiale, è diventato così importante. A ogni appuntamento ci sono stati annunci e sparate, la consueta chiamata alle armi del popolo padano – «se qualcuno ci ruberà il federalismo, se ci fanno perdere la pazienza, abbiamo i fucili pronti» – le tirate contro gli immigrati. Quest'anno però il Bossi ha gli occhi puntati addosso dell'intero mondo politico. Perché anche se tutti sanno che alla fine del grande abbaiare resterà poco o nulla (o meglio resterà solo quella parte che in realtà i leghisti vogliono portare a casa) ognuno però in cuor suo spera che possa accadere qualcosa. Berlusconi che arrivino conferme all'alleanza, il centrosinistra che il giocattolo del centrodestra si rompa. Il ministro Alfano ieri ha provato a bonificare il terreno, melmoso assai: «Io mi auguro che, da Pontida, vengano fuori delle richieste da parte della Lega che siano sostenibili per l'intera maggioranza e per il governo, per assicurare al nostro Paese una legislatura completa che duri fino al 2013 e che consenta di completare il ciclo delle riforme». Della fedeltà dell'Umberto al Cavaliere sono piene la cronache politiche, almeno dopo lo sgarbo del '94 quando Bossi piantò in asso il centrodestra e fece naufragare miseramente il primo governo del Cavaliere. E se nel '98 il leader della Lega si lascio andare a un velenosissimo «la Fininvest è nata da Cosa Nostra», dalle regionali del 2000 il rapporto con Silvio è saldo. A cementarlo quando scricchiola provvedono le cene del lunedì ad Arcore ma anche una certa affinità dongiovannesca tra il leader dei padani e il premier. La «voracità» femminile dell'Umberto l'ha raccontata proprio un fuoriuscito leghista, Leonardo Facco, nel suo libro «Umberto Magno». Un capitolo raccoglie la testimonianza di una donna che frequentava la sede leghista di via Bellerio: «Lui ci provò con me nel senso che lui ci provava con tutte. Io, fattami l'avance, gli dissi: a parte che non hai più l'età, io so che tu vai con questa tizia che è veramente brutta, quindi mi sa che a te va bene chiunque. Lui si girò e mi disse: brutta? Se gli metti ilo cuscino in faccia non la vedi più...». Verità o favola? Come quella che girò e continua a girare sulla causa del suo ictus, una notte bollente con Luisa Corna. Lei ha sempre smentito ma non ha mai negato simpatie leghiste. Di sicuro Bossi è uno che eccede. Nelle richieste, nelle battute, nelle dichiarazioni. Leggere per credere: «La prima persona che dice che sono un violento la prendo a calci nel culo». Però la politica oggi penderà dalle sue labbra.

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