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Nuove regole per scegliere chi fa politica

Il vicecapogruppo del Pdl al Senato Gaetano Quagliariello

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Caro Direttore, in un intervento sul futuro del centrodestra ospitato mercoledì dal suo giornale, Simone Bressan ha dedicato ampio spazio alla proposta di regolare per legge le primarie che ho lanciato all'indomani della sconfitta alle elezioni amministrative. Sciolgo subito il dilemma: il disegno di legge che abbiamo preparato insieme a Cicchitto e ad altri colleghi della Camera prevede una disciplina delle primarie, per i partiti o le coalizioni che intendono avvalersene, da applicare per la scelta dei candidati alle cariche monocratiche a elezione diretta: sindaco, presidente della Provincia, presidente della Regione. Non si parla di candidato premier, né di cariche di partito. Proprio a tal proposito, Bressan mi imputa sostanzialmente di aver lanciato il sasso e ritirato la mano; di aver compiuto due passi avanti salvo poi averne fatto uno indietro, vittima di una «sindrome di auto-conservazione» che attanaglierebbe l'attuale classe dirigente del Popolo della Libertà. Non è così e ci tengo a chiarire perché. Qualche precisazione e un po' d'ordine nei termini della questione potrà essere utile affinché il vivace dibattito in corso nel PdL porti davvero a qualcosa. Innanzi tutto, se parliamo di "istituzionalizzare" un sistema - e su questo Bressan sembra concordare, tanto da citare l'esempio americano - è evidente che tale sistema deve riferirsi alla scelta dei candidati per delle cariche istituzionali. In secondo luogo, se regoliamo le primarie con una legge dello Stato, la stessa legge dello Stato deve prevedere che le cariche a cui le primarie si riferiscono siano monocratiche e ad elezione diretta. È evidente però che se la regolazione per legge non può che riferirsi al contesto istituzionale, ciò non significa affatto che per tutti gli altri casi, dalla scelta del candidato premier alla selezione della classe dirigente interna del partito, forme analoghe di mobilitazione siano precluse. Tutt'altro: proprio alcune previsioni del ddl - dalla commissione elettorale da istituirsi presso ciascun partito al registro dei sostenitori - pongono le basi affinché la vita delle forze politiche e delle loro composite galassie abbia gli strumenti per svolgersi sfruttando appieno tutte le potenzialità di coinvolgimento. Il rischio, tuttavia, è che da un eccesso di "fai-da-te" come quello che ha portato a Napoli i cinesi a votare alle primarie del Pd per il candidato sindaco, si scivoli verso la deriva opposta per cui si vorrebbe irreggimentare e uniformare per legge ogni ambito della vita dei partiti, illudendosi che per superare le difficoltà si possa cominciare dalle sovrastrutture. Neanche questo sarebbe un bene. Legiferiamo dunque su ciò che attiene alle istituzioni, ma per quel che riguarda il PdL e il suo futuro partiamo dall'esigenza di delineare un'idea di partito, e lasciamo che ogni forza politica maturi il proprio percorso e magari ne formalizzi l'evoluzione attraverso regolamenti interni. Cominciamo col chiederci quale PdL vogliamo: lo strumento attraverso il quale scegliere gli uomini chiamati a realizzare le nostre idee verrà come naturale corollario. Ciò non significa voler rinviare alle calende greche la discussione: lo dimostra la determinazione con la quale il PdL si è dotato di un segretario politico. Nei prossimi mesi ci aspetta una sfida ambiziosa. Dovremo comprendere come rinnovare il partito e cogliere le potenzialità dei nuovi fenomeni, anche attraverso gli inediti canali di aggregazione e d'interazione affermatisi sulla scia delle nuove tecnologie, scongiurando gli opposti rischi di uno spontaneismo incontrollato illusoriamente liberatorio e di una claustrofobica tentazione regolatoria. Dovremo aprire porte e finestre al nuovo PdL, senza rinnegare la nostra storia, con la chiara consapevolezza dell'orizzonte verso cui vogliamo andare. Gaetano Quagliariello

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