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La politica smemorata

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Sempre peggio alla Camera. Dove il povero Aldo Moro è in qualche modo morto per la seconda volta, 33 anni dopo essere stato ucciso dalle brigate rosse nel bagagliaio di un'auto sprezzantemente posteggiata poi a pochi passi dalle sedi della Dc e del Pci. I due partiti, il suo e quello da lui appena riportato nella maggioranza parlamentare, che non seppero salvargli la vita, inchiodando il governo dell'epoca ad una linea di fermezza purtroppo rivelatasi tanto retorica quanto impotente. Quella che viene comunemente definita l'«auletta dei gruppi» di Montecitorio, dove Moro pronunciò il suo ultimo discorso politico, 16 giorni prima di essere sequestrato dai terroristi fra il sangue della sua scorta, è stata pomposamente inaugurata ieri in una nuova veste ricca di arredi, rame, stucchi e attrezzature tecnologiche. Non vi dico il costo perché temo che a qualche malintenzionato, specie in questi tempi di crisi e di lotta solo verbale agli sprechi della politica, e sue adiacenze, venga l'idea di organizzare per protesta un assalto con i forconi. L'inaugurazione è avvenuta in due fasi, entrambe guidate dal presidente Gianfranco Fini in persona, e in edizione abbronzantissima, reduce dall'ennesima intervista densa di contraddizione, in questa difficilissima congiuntura politica, fra la neutralità vanamente reclamata dalla carica istituzionale e la partigianeria partitica. La mattina vi è stata l'illustrazione dei lavori di ristrutturazione dei locali e il pomeriggio, alla presenza anche dal capo dello Stato e delle altre maggiori autorità della Repubblica, la presentazione di una raccolta dei discorsi d'insediamento pronunciati dai presidenti della Camera succedutisi nei 150 anni di storia unitaria d'Italia. Ebbene, né la mattina, quando pure sono stati evocati con foto e parole un po' di eventi svoltisi in passato fra quelle mura, né il pomeriggio si è ritenuto di ricordare al pubblico che lì, proprio in quell'aula, aveva appunto pronunciato il suo ultimo discorso politico, onorandola come nessun altro, lo statista italiano morto nelle condizioni più tragiche. Da quell'aula l'allora presidente della Dc uscì febbricitante la sera del 28 febbraio 1978, non avendo ancora smaltito una fastidiosa influenza, dopo avere convinto i recalcitranti gruppi parlamentari del suo partito ad accettare il temporaneo ritorno dei comunisti nella maggioranza, con un regolare e negoziato voto di fiducia ad un governo monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti. Egli si accomiatò dagli amici e dai giornalisti per andare inconsapevolmente verso il martirio, tale essendo poi stata la vicenda del suo sequestro, dei 55 giorni di prigionia e infine dell'assassinio. Quel posto ieri ne imponeva quindi il ricordo, pur a distanza di pochi mesi o settimane dai soliti cortei annuali di corone e auto blindate nei luoghi del sequestro e del ritrovamento del cadavere. O nei saloni del Quirinale. Una classe politica che in certi momenti e in certi luoghi perde la memoria, perde anche la dignità.

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