La Lega prepara le truppe
La storia si ripete. I fedelissimi dell'Umberto si preparano a dare battaglia. L'elmo, l'armatura e la spada di Alberto da Giussano sono già pronti, non resta che Bossi dia il comando. Nessuno si aspetta che a Pontida il «capo» si avventuri nel dichiarare guerra a Roma o, tantomeno, alla maggioranza ma, quello che i lùmbard attendono è che torni a fare della Lega quel partito di lotta che è sempre stato. Si aspettano che pronunci un ultimatum netto e deciso all'esecutivo in vista della verifica parlamentare chiesta da Napolitano per il 22 giugno. Un aut aut posto su alcuni punti cardine sui quali i nordisti non sono più disposti a passare sopra. Punti che in questi ultimi giorni sono già stati annunciati dai vari generali del Senatùr ma che, una volta urlati dal prato di Pontida, assumeranno una sacralità unica. Dopotutto quello è sempre stato il compito affidato al raduno nella cittadina bergamasca. Lì il 7 aprile 1167 si tenne lo storico giuramento dei comuni che formavano la Lega Lombarda per combattere Federico Barbarossa, Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. E proprio da quel prato Bossi ha lanciato le più grandi battaglie della storia leghista. Da Pontida si alzò l'urlo contro l'immigrazione clandestina che Maroni ha poi concretizzato assumendo l'incarico di ministro dell'Interno. Ma non solo. Da lì è partita la battaglia in difesa degli allevatori sulla questione delle quote latte ed è iniziata la rincorsa al federalismo fiscale che ad ottobre dovrebbe concludere definitivamente il suo iter legislativo. Ora tocca all'ennesimo giuramento di Bossi. E domenica, la parola d'ordine che il Senatùr lancerà sarà «alzare la posta». Bisogna provare a prendere in mano ancora più nettamente la politica del governo, mettere condizioni ferree sull'azione dell'Esecutivo e sperare che possa servire a rilanciare le quotazioni se non della coalizione, almeno del Carroccio, per poter andare al voto (meglio se nel 2012) in condizioni più favorevoli evitando la tanto temuta «terza sberla» ipotizzata da Calderoli. E così mentre Maroni chiede al governo di avere coraggio minacciando «o si cambia o si vota» e Calderoli fa la voce grossa sostenendo che «a Pontida diremo quello che Berlusconi dovrà promettere il 22 giugno in Aula», il numero uno del movimento nordista prepara la lista delle rivendicazioni che possono calmare la base padana: exit strategy dalla missione in Libia anche in funzione di una stretta contro l'immigrazione clandestina, significativa riduzione di tutti gli altri contingenti all'estero a partire da quello in Libano, e infine, una riforma fiscale che, seppure a deficit "quasi zero" premi i ceti di riferimento dell'elettorato leghista e che, soprattutto, allenti la morsa del patto di stabilità interno sugli Enti locali virtuosi, consentendogli di spendere le risorse che hanno in cassa. Tre punti sui quali Bossi calcherà la mano per rendere «frizzante» il raduno leghista. A questi poi si aggiungerà la richiesta di trasferire i ministeri al Nord perché, come continua a dire il Senatùr, «è obbligatorio che vengano al Nord, dobbiamo avere la testa a Milano e Torino, le gambe lasciamole pure a Roma. Ma se la testa non è al Nord, finiamo male». E loro a finire male non ci pensano proprio. E così si mobilitano e organizzano 254 punti di ritrovo dal Piemonte al Friuli, dall'Alto Adige fino all'Umbria per portare a Pontida quante più persone possibili. A sentire i commenti dei big leghisti l'aspettativa comunque è sempre quella: «Siamo stufi di prendere sberle - spiega il sindaco di Verona, Flavio Tosi - Ci siamo stufati di sentire parlare di toghe rosse, bunga bunga e questioni che alla fine non sono nell'interesse collettivo», i leghisti vogliono i fatti. Altrimenti meglio tornare a votare.