Sogno liberale da recuperare
Le acque del centrodestra continuano ad essere agitate. E ben a ragione perché la batosta referendaria, seguita a quella delle amministrative è ben lontana dall’essere riassorbita. E non è neppure detto che sia riassorbibile senza un sussulto di orgoglio e senza uno spunto di fantasia creatrice che, allo stato, non si profilano neppure all’orizzonte. Berlusconi, chiuso in se stesso, sembra un pugile suonato, anche perché, tra i quesiti referendari, ce n’era uno, quello sul legittimo impedimento, che aveva tutti i connotati di un «referendum ad personam» dal momento che gli effetti della legge sotto esame erano a un passo dalla scadenza naturale. I più autorevoli esponenti pidiellini del governo, d’altro canto, tendono a minimizzare le conseguenze del voto assicurando che la compagine governativa andrà avanti. Come se non fosse accaduto nulla. Sembra di sentir risuonare sullo sfondo le parole, in realtà tragiche, della celebre canzone di Nunzio Filogamo: «Tutto va bene, madama la Marchesa». Invece, ammettiamolo, non va bene nulla, dalle parti del Pdl. E non andrà bene fino a quando non ci renderà conto che agli «avvisi ai naviganti» lanciati dagli elettori si deve prestare orecchio. E non fare, ci sia consentita la battuta banale, orecchie da mercante. Il messaggio è chiaro. È una richiesta di intervento sul partito, sulla sua classe dirigente, sulle modalità di selezione dei suoi uomini e dei suoi parlamentari, sui suoi programmi e sulle priorità da portare avanti. Le due «sberle» consecutive, delle amministrative e dei referendum, non sono la campana che suona a morte per il Pdl. Sono, piuttosto, una preoccupante sirena d'allarme che segnala l'apertura di una falla nello scafo del battello in navigazione nelle acque procellose e infide della politica nazionale. Una falla da riparare, senza perdere la testa e senza perdere il contatto con la realtà. Il popolo moderato raccolto per tanti anni, con determinazione ostinata e con appassionata partecipazione, attorno al Pdl non ha voltato le spalle alle idee e ai principi liberali che in questa forza politica vedeva incarnati. Ha solo fatto un passo indietro, si è ritirato su una posizione attendista di fronte a una prassi che riproduceva i peggiori difetti e vizi della stagione partitocratica e correntocratica e che finiva per far passare in second'ordine il mantenimento delle promesse e l'aspirazione a una catarsi morale. Questo popolo moderato non ha rinunciato a credere in certi valori e, soprattutto, in certe speranze. Valori e speranze che - è fuor di ogni discussione - non sarà mai il centrosinistra a poter incarnare. Per il suo carattere di armata Brancaleone in sedicesimo, per il suo demagogismo sfrenato, per il suo giustizialismo giacobino, per il suo vuoto programmatico e, last but not least, per quella superiorità spocchiosa di cui si ammanta e che tende a considerare una parte del Paese - tutti coloro che la pensano diversamente - costituita di minus habens o cerebrolesi. Questo popolo moderato, insomma, ha dato un segnale: vuole che sia corretta la rotta, che sia recuperato il "sogno liberale", che sia, per così dire, ripulita e rinfrescata la sua casa politica. E, ancora, vuole poter contare, magari con l'introduzione delle primarie, a questo lavoro di restauro. Vuole aiutare. Le "sberle" sono un richiamo salutare al Pdl e a tutto il centrodestra. Perché nel centrodestra non c'è soltanto il Pdl. Se il Pdl piange, infatti, la Lega non ride. Anzi, è proprio la Lega ad aver pagato le conseguenze maggiori di un cedimento alla prassi e ai comportamenti propri di una politica vecchia fatta di ricatti e ricattucci, demagogismo puro, brutale gioco al rialzo nelle pretese, atteggiamenti rodomonteschi e scivolate nepotiste. Lo ha pagato, questo cedimento, con l'interruzione brusca e inaspettata di una corsa all'acquisizione di consensi che non sembrava avere fine. Se il Pdl ha il problema di ridefinirsi, riorganizzarsi, rinnovarsi e recuperare lo spirito e lo slancio liberale delle origini per recuperare consensi presso il popolo moderato, la Lega ha il problema di acquistare credibilità e mostrare affidabilità e maturità democratiche e liberali, mettendo da parte quei panni che le conferiscono l'aspetto di una vera e propria "religione secolare" che celebra i suoi riti paganeggianti in quel di Pontida. Non vanno, certo, in questa direzione, iniziative come la proposta di un bonus di punteggio per le graduatorie degli insegnanti precari del nord. Una proposta che - indipendentemente dalla sua compatibilità con il principio costituzionale dell'uguaglianza - esprime quella dimensione corporativa e quella dimensione demagogica che sono mali antichi, e inestirpati, del nostro paese. E neppure va nella direzione giusta la minaccia di presentare, a Pontida, le condizioni per la permanenza al governo come se le colpe della sconfitta fossero tutte, e solo, del Pdl. Non è il momento di parlare "alla pancia" del proprio mondo ma è quello di ragionare. La crisi non è solo del Pdl, ma è anche della Lega. E può diventare una crisi irreversibile per tutto il centrodestra.