Bersani e Vendola all’attacco: dimissioni
Non c'è niente di meglio di Vasco Rossi per festeggiare una vittoria. E poco importa se il popolare cantante, forse memore della sua «vita spericolata», ha optato per il no al nucleare. Vasco non si discute. Mai. Così Pier Luigi Bersani si presenta in conferenza stampa con il sorriso stampato sulle labbra e il manifesto che il Pd ha preparato per l'occasione. Lo slogan è preso in prestito da «Un senso» canzone del rocker di Zocca che il segretario adottò come colonna sonora della sua campagna, vincente, per le primarie. Allora qualcuno ironizzò sul fatto che Bersani cercasse il senso ad una storia che, Vasco docet, «un senso non ce l'ha». Ma forse aveva ragione lui perché oggi, quasi due anni e un po' di elezioni dopo, il segretario può prendersi la rivincita al grido di «Senti che bel vento». Uno slogan che il leader democratico accompagna con una battuta che chiarisce subito la linea. «Questo è stato, a parer mio, un referendum sul divorzio - esordisce -: c'è un divorzio tra il governo e il Paese. Si è trattato di un risultato straordinario, incredibile, pieno di speranza e fiducia per un cambiamento possibile». E poco importa che a pochi metri di distanza dalla sede di Sant'Andrea delle Fratte Antonio Di Pietro usi toni completamente diversi e inviti a non «strumentalizzare» l'esito dei referendum, per Bersani non ci sono alternative: «Berlusconi non ha più la maggioranza del Paese. Si dimetta e apra una situazione nuova passando la mano al Quirinale». Il segretario traccia anche il suo percorso ideale: «Crisi, Quirinale, verifica rapida sulla possibilità di riformare la legge elettorale, e sennò si va a votare». Bersani sa che tutto questo può avvenire solo se qualcuno nel centrodestra decide di staccare la spina, per questo lancia il suo appello ai «più responsabili del centrodestra» affinché si muovano, già nelle prossime ore, su «una prospettiva di sfiducia». Mentre alla Lega rivolge l'invito a riflettere dopo la «doppia sconfitta». Insomma, ora l'attenzione del Pd si sposta su due appuntamenti chiave per il futuro del governo: il raduno di domenica a Pontida e la verifica parlamentare del 22 giugno. Nell'attesa i Democratici chiedono a gran voce le «dimissioni» del premier. E se Di Pietro si sfila, Nichi Vendola si unisce al coro. «Oggi il Paese non ne può più e manda un messaggio chiaro - attacca il governatore pugliese -: che liberino il campo e consentano all'Italia attraverso elezioni anticipate di tornare a respirare». «Non è un referendum su Berlusconi - insiste - ma lo è certamente sul berlusconismo. Non sembri un gioco di parole ma il berlusconismo inteso come stagione complessiva di sradicamento della cultura dei beni comuni oggi giunge al suo punto di compimento, al suo capolinea. Da oggi siamo fuori da quella stagione e questa è una lezione per tutti, a destra, al centro e a sinistra». Nichi, quindi, oscilla tra la richiesta di dimissioni e il tentativo di non strumentalizzare il popolo del referendum. E non è un caso. A piazza Bocca della Verità, dove i comitati per il sì hanno festeggiato la vittoria, i politici sono stati banditi dal palco. La stragrande maggioranza di coloro che hanno votato non è classificabile con le tradizionali categorie di destra e sinistra. È altro dalle Rosy Bindi che già promettono a Pier Ferdinando Casini di governare insieme una volta vinte le elezioni. È un «bel vento» che rischia di travolgere anche il centrosinistra. E forse, l'unico che l'ha capito, è Di Pietro.