Non politici ma statisti

La gente va a votare con il portafoglio in mano. E la questione fiscale è il vero nocciolo del problema italiano. Il nostro Paese non cresce. Al di là della tostissima battaglia ad personam che The Economist conduce contro il Cav, nel report dell’ultimo numero del settimanale britannico i numeri del nostro anemico Pil parlano chiaro, la bassa partecipazione delle donne al lavoro è un problemone, il costo del lavoro un affare irrisolto, la voracità del fisco è sempre quella - giusto per usare uno slogan coniato da Giulio Tremonti contro l’allora ministro Vincenzo Visco - del Conte Dracula all'Avis. Ieri a Santa Margherita la plastica immagine dei nostri dilemmi è venuta fuori alla grande: la Marcegaglia chiede meno tasse, Tremonti dice che non si può fare, Berlusconi sta in mezzo al guado mentre sale l’alta marea. Tutti sono dominati dalla paura: Confindustria dalla perdita di rappresentanza dell’associazione in un mondo che s’è allargato per tutti e ristretto per noi; il ministro dell'Economia teme il giudizio dell’Europa e delle agenzie di rating; il presidente del Consiglio teme di perdere le elezioni del 2013, ammesso che in queste condizioni ci arrivi. Presi in questa tenaglia di timori e visioni di cortissimo respiro, tutti dimenticano che l’Italia resta agli ultimi posti nei ranking mondiali della crescita economica negli ultimi dieci anni, della ricerca, dell’istruzione, dell’innovazione. Un Paese che nelle classifiche appare senza futuro, ma in realtà avrebbe ancora, nonostante tutto, incredibili risorse da sfruttare e genio da vendere. Ma su un per niente impossibile Rinascimento Italiano insieme alla paura pesa un altro sentimento, il pessimismo. L’establishment aristo-borghese e l’opposizione neoluddista nel comune obiettivo di mandare al tappeto Berlusconi hanno dispensato alla massa un ultradosaggio di pessimismo e letteratura declinista. Il risultato è un micidiale cocktail di noia e occlusione della speranza che è diventato un mood del Paese, in particolare dei giovani. A questi ultimi invece andava raccontata la dura verità sulla globalizzazione e data una possibilità seria, grazie a leggi e contratti efficaci, di trovare un lavoro non fisso per forza - tutti saremo molto più precari - ma ben retribuito senza essere ipertassato e taglieggiato dallo Stato. La diagnosi è chiara: quella del governatore di Bankitalia Mario Draghi è la più seria, più dura nella via indicata, ma anche la più bella da cogliere per chi ama mettersi in gioco. Il nostro Marlowe ieri ha spiegato come si può avere un fisco dal volto umano e tagliare la spesa inutile, i privilegi della casta e della burocrazia che serve solo a se stessa. Si parte da qui. Le riforme fiscali a costo zero non esistono. Penso che Tremonti abbia davanti a sé una doppia prova: 1. saper uscire dalla fase della "manutenzione" dei conti per imboccare la fase della "crescita"; 2. trovare il coraggio per uscire dall’eterna promessa e provare a giocarsi la leadership del blocco sociale moderato. Così dimostrerà di avere la stoffa del numero uno. Le mezze misure sono uno spreco di tempo e denaro, il prolungamento dell'agonia. L’Italia ha un disperato bisogno di esser presa per mano e condotta in un’era di Rinascimento. Signori, servono statisti. Amici, serve coraggio.