Santoro va. Poi torna a un euro
«Ma questa era solo l'anteprima. Annozero può cominciare». Va bè, dai, è l'ultima voltà, si dirà. E invece no. «Cominci l'anno nuovo». Michele Santoro gioca a fare Nanni Moretti in versione Ecce Bombo. «Vado. Non vado. Mi si nota di più se vado o se non vado?». Il teletribuno inizia la sua ultima puntata in Rai agguerrito più che mai. Tutti si aspettano un addio. Ma non arriverà. Il lungo monologo punta in alto. L'interlocutore - a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare - non è il nemico di sempre Mauro Masi (che si becca comunque un poco gentile «di lui, che non sapeva fare neanche un bicchiere, ci siamo finalmente liberati»), né il nuovo direttore generale Lorenza Lei (cui Michele consiglia di «risolvere il conflitto d'interessi»). Santoro si rivolge a un alleato, al presidente Paolo Garimberti. «È vero - esordisce - io sono artefice del mio destino, ma chi è artefice del destino della Rai? Io sono della Rai», urla ripercorrendo i suoi trent'anni nel servizio pubblico. Elenca i risultati ottenuti. I record di ascolti raggiunti. Sottolinea le quotazioni in borsa raggiunte da Ti Media solo per le ipotesi di un suo passaggio a La7. Si pavoneggia, Michele. Con un tono quasi nostalgico. Poi, però, affonda il colpo. «Io non ho ancora firmato con nessun altro editore - rivela - Nel mio accordo con la Rai c'è scritto a lettere maiuscole che posso continuare a collaborare anche da domani». Il guanto di sfida è per Garimberti: «Mi piacerebbe che lei che è artefice del suo destino - lo apostrofa - ne discutesse in Cda pubblicamente. Per una volta vorrei capire se la volete o no questa trasmissione», attacca. Il teletribuno ammette di aver messo fine a tutte le vicende giudiziarie che lo vedevano contro la Rai. «C'è una cosa - sottolinea - che più di tutte ha urtato la mia sensibilità: che io fossi in onda solo perché i giudici lo avevano deciso, e questo mentre Annozero sfondava tutti i record d'ascolto. Io non voglio più essere in onda perché lo decidono i giudici. Se avessi vinto in Cassazione, cosa che io ritenevo sufficientemente certa, sarebbe stata un'ulteriore sconfitta perché nessuno avrebbe riconosciuto che ero della Rai. Per molto tempo dall'interno dell'azienda sono stati portati in piazza tutti i particolari del mio stipendio, per buttare del fango su di me. Ma io sono della Rai - ripete - orgoglioso di quello che faccio, e figlio di un ferroviere che ha fatto sacrifici per mandare all'università cinque figli». Fa la vittima Santoro. Chiagne e fotte: «Per voi esistono ricchi e poveri - continua rivolgendosi ai vertici aziendali- per me invece c'è la dignità del lavoro che viene prima di tutto dalla libertà. Quando si attaccano quelli come me, si attaccano anche la possibilità per quelli come mio padre di avere un sogno». Le «angherie» subite non sono finite. Santoro ricorda i provvedimenti disciplinari dell'Agcom. «Si può resistere - ammette - ma non si può resistere, resistere, resistere all'infinito. Anche quando il tempo della resistenza è finito. Io - conclude - penso che l'Annozero è finito». Inutile, però, tirare un sospiro di sollievo. Michele continua: «Annozero è finito a Milano e a Napoli. Le persone hanno smesso di essere spettatori. Vogliono decidere e saranno loro a decidere domenica e lunedì», aggiunge nell'ultimo disperato tentativo di dare una mano per raggiungere il quorum. Non è finita. «Sarò a Bologna tra due venerdì al fianco della Fiom», insiste imparziale (e facendo arrabbiare la Uilm). La provocazione finale è quasi geniale: «Caro Garimberti - affonda - io sono pronto a lavorare anche al costo di un euro a puntata nella prossima stagione». Caro Garimberti - verrebbe da dire - ci faccia un favore. Faccia un dispetto al compagno Michele. Lo ascolti.