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segue dalla prima di MARIO SECHI (...) di pennivendoli ha destato subito la curiosità dei commentatori dei giornali e la diffidenza dei politici del Pdl.

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EugenioScalfari ci ha subito assestato un gancio destro nel suo pezzone domenicale su Repubblica: «Cari servi liberi, la vostra richiesta è la più eloquente testimonianza che 17 anni sono stati dissipati. La vostra libera servitù ha soltanto contribuito a creare una palude piena di miasmi nella quale avete impantanato un Paese che ora finalmente ha deciso di alzarsi e camminare senza di voi». Eugenio la pensa così e non ci sorprende, ciò che invece è notevole è il suo interesse per la riunione dell'allegra brigata di Foglio, Giornale, Libero e Tempo. Scalfari dimostra ancora una volta di essere il più intelligente e acuto di tutti. Ha capito che stamattina in realtà non faremo la festa al Cav., ha compreso che dal palco del Capranica verranno fuori idee, proposte e critiche, una visione del mondo, cose forse disordinate ma che in un congresso di partito del centrodestra non si vedono più da tempi remoti. Scalfari intuisce, da raffinato intellettuale qual è, che questo è pericoloso. Nitroglicerina. Perché se si rimettono in moto i neuroni, si ritorna a fare politica, cultura e allegra egemonia, la forza tranquilla che ha scelto di esser governata da Berlusconi si risveglia e pensa: «Sì, certo, siamo stati sconfitti, ma non siamo morti e forse è ancora presto per celebrare il funerale». Tutto questo per molti è incomprensibile, addirittura un'eresia. Per altri è un'autorete e per chi vede la vita come una continua partita doppia di opportunismi un errore che si paga a caro prezzo. L'altro ieri una persona cara che mi vuole bene mi ha scodellato questo ragionamento: «Perché lo fai? Perché partecipi a una kermesse berlusconiana? Non ti conviene». Ecco, quando ho sentito il «non ti conviene» ho capito che stavo facendo la cosa giusta. Non ho fatto carriera perché ho sposato un'idea politica o mi sono agganciato a un carro di partito, ma perché so fare i giornali. Non ho mai pranzato con Berlusconi, non frequento salotti di potenti, non organizzo camarille e quando ho un minimo di tempo per me stesso, provo ancora un immenso piacere a leggere e studiare. Scrivo quello che penso e credo che si debba fare a destra quel che fanno (spesso male) a sinistra: discutere in libertà, giocare con il paradosso, aprire la mente, respirare aria nuova e sostenere le buone idee del mondo liberale e conservatore. Non mi pare un'eresia, ma un modo civile e trasparente di condurre la fiera battaglia per conquistare il cuore e la mente di chi ti legge, vede e ascolta tutti i giorni. È una guerra culturale che comincia prima di Berlusconi, prosegue con Berlusconi, va oltre Berlusconi. È necessaria per alimentare il dibattito sociale di un Paese, costringere i propri amici a confrontarsi con gli errori fatti e le promesse mancate, dare ai nemici una visione del mondo che li mette di fronte al dramma di un manicheismo politico fine a se stesso, autodistruttivo. Tutto questo si scontra appunto con la logica dei guelfi e ghibellini, del moralismo un tanto al chilo, della presunta superiorità antropologica della sinistra, del politicamente corretto e della convenienza di piccolo cabotaggio. Per questo oggi al teatro Capranica dirò due o tre cose sul Pdl, Berlusconi e il centrodestra. Domani cari lettori le potrete leggere sul vostro giornale. Niente di «folle e perfido» come le «istruzioni alla servitù» di Jonathan Swift, ma consigli per un Cavaliere troppo solo.

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