Delitto quasi perfetto, ma il pugnale è del Pd

«Lui, Lei, l'altro», titolava ieri vistosamente il Manifesto in prima pagina raccontando la storia dell'uscita, diciamo così, consensuale di Michele Santoro dalla Rai, in cambio di circa due milioni e trecentomila euro e del diritto, che non gli è stato precluso con un supplemento di liquidazione, di ricomparire subito in video con un'altra azienda. Che è naturalmente la 7, dove lo aspettano "a braccia aperte", come ha annunciato in diretta l'altra sera al suo telegiornale il buon amico Enrico Mentana. Ma dei tre personaggi, il Manifesto, come vedremo, ne ha sbagliato sicuramente uno, seppure in buona compagnia, da la Repubblica a La Stampa, dal Corriere della Sera, sia pure meno esplicitamente, a molti altri. Lei è la nuova direttrice generale della Rai, che ne porta anche il cognome. E che ha trattato con una riservatezza ben riuscita la risoluzione del rapporto aziendale con il conduttore di Annozero. Sulla sua identità quindi non c'è dubbio. Il primo Lui è altrettanto di sicuro Santoro. Il quale non si è lasciato scappare l'occasione, offertagli da una somma di circostanze per lui fortunate, di prendersi una carrettata di euro, tutti meritati, per carità, e di andare a lavorare e a guadagnare di più altrove, anche se con ascolti prevedibilmente minori. Che però, oltre ad essere meglio remunerati, basteranno ugualmente a garantirgli una certa popolarità: condizione umanamente appagante per chi fa televisione. E magari ha anche altre ambizioni ancora nel cassetto, aiutato dall'aureola di martire che i suoi tifosi gli hanno cucito addosso e non scuciranno neppure dopo la sua "consensuale" uscita dalla Rai appena annunciata. È sull'identità dell'altro lui che il Manifesto e compagnia bella sbaglia, e di grosso, non necessariamente in buona fede, indicandolo nel Cavaliere. Che, furente per l'antiberlusconismo di Santoro, al quale ha attribuito anche la causa forse principale della botta presa nelle elezioni amministrative di maggio, sarebbe finalmente riuscito a ottenerne la testa. Con la complicità naturalmente di Lei, di nome e di fatto. Diavolo di un uomo, questo Cavaliere. Perde un turno elettorale come quello appena svoltosi, sia pure localistico. Viene tenuto dalla Lega sulla graticola del dubbio per la durata della legislatura e per la sua ricandidabilità a Palazzo Chigi nel 2013, o prima. Deve temere come un incubo i referendum di domenica prossima, anche se finge di infischiarsene. Eppure trova il tempo e soprattutto ha la forza di spingere fuori dalla Rai, anzi di cacciare, l'odiato Michele, come scrive il solito Curzio Maltese sull'altrettanto solita Repubblica. Troppo bello, per Berlusconi, per essere vero. Ma bellissimo per chi, dietro le quinte, si è mosso davvero, e di più, per arrivare a questo risultato, non lasciando finora alcuna impronta. Finora, però, sia chiaro, perché la Rai non è un'azienda nella quale i segreti possano durare più di tanto. L'altro, signori mei, non è Berlusconi, ma il Pd. O il misterioso personaggio che ha tirato per conto suo i fili di questo affare, di questa specie di delitto perfetto. È al Pd, ancor più che a Berlusconi, che Santoro stava ormai da tempo sui marroni, tirando ormai dal suo salotto televisivo le volate mediatiche ed elettorali a tutti i concorrenti di sinistra del maggiore partito d'opposizione: da Di Pietro a Vendola, da de Magistris a Beppe Grillo. La cui lista di cinque stelle per poco non ha, per esempio, impallinato il mese scorso il candidato del Pd a sindaco di Bologna. Il Santoro di Annozero, per parlarne ancora al presente in omaggio all'ultima cartuccia che ha da sparare giovedì sera, non sposta un voto da destra a sinistra. Ne sposta solo all'interno della sinistra, e di tanto da fare incazzare come tori tipi come D'Alema e Bersani. Il quale ultimo di recente non ha nascosto proprio nello studio televisivo di Santoro il fastidio di essere preso politicamente per il sedere dall'editorialista fisso della trasmissione. Senza una copertura decente di sinistra Lei, la direttrice generale della Rai, non avrebbe potuto concordare con Santoro una liquidazione a livelli scientificamente idonei ad evitare alla pratica il passaggio nel Consiglio di Amministrazione dell'azienda. Dove i membri di sinistra non avrebbero potuto far finta di niente, ma battersi davvero per la prosecuzione del rapporto con Michele. E mettere in difficoltà i membri di centrodestra, sfidandoli a votare da soli l'accordo fra Lei e Lui, Santoro, l'unico lui - ripeto - di cui è certa l'identità in questa storia che assomiglia troppo ad un imbroglio. Un imbroglio persino maggiore, sul piano politico, dei referendum di domenica prossima.