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Silvio presenta il conto a Giulio

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ai giardini del Quirinale in una foto d'archivio

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«Dalla cintola in giù sono un bambino". L'amico: "E cioè?". La risposta: "Me cago sotto, me piscio sotto"». Tutti inorridiscono, ci sono anche delle signore. Berlusconi si mette la mano davanti alla bocca. Da anni la festa della Repubblica è una celebrazione per il premier. Stavolta è più la festa di Napolitano. La fila di vip che vanno a salutarlo è di gran lunga più ampia di quella per il premier. L'orchestra suona 'O Sole mio, Torna a Surriento e persino Come facetta mammeta in omaggio al padrone di casa. Pare che la presidenza della Repubblica non abbia invitato tutti i sottosegretari. Dicono i maligni perché non voleva vedersi tra i piedi i Responsabili. In effetti si vedono solo i viceministri che lo accompagnano nelle missioni all'estero come Crosetto, la Craxi e naturalmente Letta e Bonaiuti che sono i più vicini a Berlusconi. Dunque, il premier. Resta nell'angolo. Ma dall'angolo vuole uscire. Va incontro ai giornalisti, si capisce che vuole mostrarsi per nulla abbattuto, per niente ferito. Anzi, già in sella. Come colui che guarda avanti. Dice subito: «Abbiamo subito un gol, ma stiamo ancora 4 a 1 perché abbiamo vinto le politiche, le regionali, le europee e le amministrative». Insiste: «Zero problemi, ho la maggioranza in Parlamento per fare la riforma del fisco, quella delle istituzioni e anche quella della giustizia che è già impostata». Poi racconta che è appena stato in Romania ed elenca tutte le misure draconiane prese da Bucarest per restare in piedi al tempo della crisi: taglio dei dipendenti pubblici, innalzamento dell'età pensionabile, aumento delle tasse. Come dire: noi invece non l'abbiamo fatto. Assicura che non lo farà. Al contrario annuncia: «Ho preso atto della sconfitta. Sono sicuro però che non ho mancato in nulla se non nel comunicare. Sono assolutamente fiducioso, abbiamo una maggioranza per fare le riforme e mi metterò a comunicare tutte le settimane». Quindi giura: «Andremo avanti per due anni». Bene, per fare cosa? Ecco il punto. Berlusconi continua a ripetere che vuole fare le riforme, «quelle molto importanti». Viene subito incalzato. Quali? «Faremo la riforma del fisco». Parte l'obiezione: ma Tremonti frena, dice che non ci sono gli spazi. Il premier s'inalbera: «Glieli faremo trovare». Altra obiezione: ma il ministro dell'Economia non vuole aprire i cordoni della borsa. Silvio s'inalbera: «Li faremo aprire. Non è Tremonti che decide. Lui propone soltanto». Giulio rimane più in là, parla con Prodi, chiacchiera con la Marcegaglia. In serata Berlusconi corregge con una nota: «Riconfermo piena fiducia nel ministro Tremonti e sono sicuro che continueremo a lavorare bene insieme come abbiamo fatto sino ad adesso». Silvio racconta il colloquio con Obama al G8 di Deuville: «Io devo spiegare, quando giro il mondo, agli altri leader perché sono coinvolto in 31 processi. E comunque Obama mi ha detto: "Non ti faranno cadere, ma sono sicuro che se cadi, cadi in piedi"». Poi torna a parlare dei ballottaggi: «I risultati erano previsti». E sibillino aggiunge: «Potevamo vincere solo a Napoli se avessi candidato Mara Carfagna. Ma non volevamo consegnarla alla camorra». Gli viene chiesto se teme il voto parlamentare sulla verifica che arriverà a fine giugno: «Assolutamente no», risponde quasi stizzito. Poi più tardi lo va a salutare Luciano Sardelli, capogruppo dei Responsabili, e lo invita a ripetere parola per parola un annuncio che gli detta: «Il gruppo dei Responsabili è il gruppo più leale al governo». Sardelli aggiunge di suo: «E andremo avanti fino a fine legislatura». Berlusconi si fa prendere la mano e fa una sviolinata a Scilipoti: «Non me lo toccate. È una persona deliziosa, corretta e piena di iniziativa, gli sono molto affezionato».  

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