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Si restituisca senso alla politica

Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti

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Il centrodestra è in stato confusionale. Abituati a seguire il pifferaio magico non ne distinguono più le note, guardandosi attorno smarriti. Alcuni direttamente atterriti, senza neanche riuscire a mascherarlo. Non solo non riescono a digerire la sconfitta elettorale, ingigantendola, non riescono neanche a capirla e a trarne insegnamento. Lo dimostrano due discussioni, condotte con onirica incoscienza: quella su Giulio Tremonti e quella sulle primarie. La politica del ministro dell'Economia è la politica del governo. Ne è responsabile il presidente del Consiglio. Non solo perché lo stabilisce la Costituzione (articolo 95), ma perché lo hanno ripetuto mille volte e, del resto, se delle osservazioni andavano fatte, come a noi è capitato, si doveva presentarle per tempo. È vero che alcuni ministri si sono pubblicamente lamentati per i rifiuti di Tremonti, opposti alle loro richieste di quattrini, ma se dovessi dire che mi sembravano nobili le cause dei loro reclami mentirei. Dire, oggi, che Tremonti deve piegarsi o andarsene, volendosi aprire i cordoni della borsa, serve solo a rinnegare i positivi risultati della disciplina di bilancio. Non buttare il bambino con l'acqua sporca, ma direttamente il bambino. La colpa del governo, e con questo di Tremonti, è non essere riusciti ad accompagnare la (giusta) politica della lesina a riforme capaci di dare una prospettiva diversa per il futuro. Riforme a odierno costo zero e in grado di rilanciare la produttività italiana. Dal campo fiscale a quello del lavoro, dal mondo previdenziale a quello della sanità. È stata colpa di Tremonti? E gli altri dov'erano, in letargo? In quanto a quelli che citano le ultime considerazioni finali di Mario Draghi, indicando la pagina in cui reclama (giustamente) una diminuzione della pressione fiscale, li invito a leggerla tutta, perché il governatore suggerisce di compensare le mancate entrate con una rinnovata lena nella lotta all'evasione fiscale, complimentandosi con quanto fin qui fatto. Ma tale lotta, come anche i tagli alla spesa pubblica, è condotta da un'amministrazione cieca, che non conosce i conti pubblici e arrogantemente presume quelli privati. Se c'è una cosa che fa perdere voti è proprio un tale andazzo. Solo che noi lo scriviamo e riscriviamo, mentre al governo se ne sono accorti fuori tempo massimo. Un ultimo dettaglio: Tremonti è, agli occhi degli altri Paesi europei, e delle loro banche, il garante dell'equilibrio dei nostri conti pubblici. Lo è divenuto anche per altrui insipienza, ma è così. Pensare di buttarlo giù puntando alla cassa, per svuotarla, equivale a far suonare l'allarme prima ancora di svaligiare la gioielleria: ci salterebbero tutti addosso. A quel punto qualcuno potrebbe ricordare che la pessima riforma del 1990 pose le basi per nascondere sotto il tappeto regionale il debito sanitario, consentendo ai governanti di far la bella figura d'entrare nell'euro (dopo avere chiesto agli spagnoli di non farlo, per evitarcelo anche noi). Se ci rinfacciano il gioco a rimpiattino ci spiedano, come già è capitato ai greci. Il tutto per potere dire che ora abbiamo soldi da spendere e, quindi, prometterli? Significherebbe non avere capito un accidente del voto, e non avere colto che alle promesse gli elettori credono quanto chi le fa. Pressoché punto. In quanto alle primarie, mi pare ci sia un limite al ridicolo: così come vengono fatte in Italia sono una presa in giro. Chi osserva che a sinistra funzionano e portano al successo lo vada a dire a Romano Prodi, che scelto dalla primarie credeva d'essere il padrone, salvo ritrovarsi velocemente appiedato, o lo dica Walter Veltroni, che vinse le primarie (fasulle) e perse le elezioni. Pisapia e De Magistris hanno trionfato perché vincitori delle primarie contro il più grande partito della sinistra, il Pd. Le primarie funzionarono per certificare il loro non essere assimilabili a chi li candidava. Credete sia una strada virtuosa? A me pare pericolosa. Le primarie sono una cosa sana e seria, ma solo se regolate dalla legge e coerenti con il sistema elettorale. Se è chiara la composizione dell'elettorato passivo e attivo e se l'accesso alla candidatura, uninominale, è consentito anche a chi fosse fuori dal sistema dei partiti. All'americana, insomma. E mi starebbe benissimo. Ma quelle praticate dalla sinistra sono alla Nando Moriconi. Forse non è chiaro: la classe dirigente del centro destra ha dato cattiva prova di sé, ma la via d'uscita non sono le correnti spartitorie o le cordate d'arrampicatori, bensì la restituzione di senso alla politica. Capacità di ascolto e capacità di convincimento, alimentate da credibilità personale e competenza. I sordi blateranti (e leccanti) portano male. Nel Pdl il potere è nelle mani di Silvio Berlusconi, mentre la realtà sfugge dalle mani del partito. Anche qui il problema non è (solo) cambiare il caposquadra, ma far uscire dal campo gli esibizionisti del nulla e i potentati dell'impotenza. Gli elettori li riconoscono, e si sono strarotti di votarli per forza.

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