L'assenza di regime e gli eroici resistenti
La sonora sconfitta di Silvio Berlusconi è anche la sua prima vera vittoria. Perdendo alle elezioni, specialmente a Milano, volano della sua discesa in campo, ha tolto l’argomento fondamentale dei suoi nemici: ha dimostrato, infatti, di non avere un regime a sua disposizione. Perfino certi dettagli, la dicono lunga sulla satrapia berlusconiana. Basti pensare che la campagna elettorale della sinistra, ha avuto – da piazza del Duomo, all'ombra della Madonnina, fino a piazza Plebiscito, a Napoli – un unico menestrello: Roberto Vecchioni. Giusto quel dinosauro resuscitato dal Festival di Sanremo della Rai del centro-destra, scatenato adesso tra i sostenitori di Giuliano Pisapia e Luigi de Magistris, ospite d'onore all'Infedele di Gad Lerner. Per non dire del cerimoniere della festa «della Liberazione dal berlusconismo» a Milano: nientemeno che Claudio Bisio, cioè il pezzo fondamentale del mobilio di casa Berlusconi, ovvero il conduttore di Zelig, il conduttore della trasmissione più importante di Canale5, la cassaforte più vicina al cuore del dittatore cattivo. E nel frattempo che il Cav piangeva tutti i suoi guai, il buon Bisio, giustamente, se la beava. Ma sono le favole della dittatura, queste. E la sonora sconfitta di Berlusconi, dunque, lo fa vincere rispetto agli "indignati", ai musi lunghi, ai babbionissimi colleghi della stampa estera: tutti ammaestrati secondo la lagna della mignottocrazia. Verificata l'assenza di regime, dunque, sarebbe stato ovvio annoverare tra gli sconfitti, accanto ai Sandro Bondi su cui è facile maramaldeggiare (vero, dottor Gian Antonio Stella del Corriere?), i veri beneficiati del berlusconismo. E, primi tra tutti, gli eroici resistenti, quelli che la raccontavano al mondo come se l'Italia fosse la pattumiera della P2, come se l'Italia fosse il cesso oscuro della legalità, come se l'Italia fosse solo un grande letto sfatto dove far sfoggia di viagra e champagne. E, invece, è bastato un voto. E tutto quell'odio, infine – quel volerli vedere appesi a Piazzale Loreto, trasferito nei talk show, come a Ballarò dove il pubblico è ammaestrato ai sensi del crucifige – è proprio fuori luogo. Persino il sornione Enrico Letta, nelle mani del furbo Floris, diventa una sottomarca di Paolo Cento detto er Piotta. Ed è per questo che la sonora sconfitta di Berlusconi diventa in automatico la sua vittoria, perché smaschera i suoi nemici: li svela arroganti. E maramaldi. Buoni a infierire solo sugli sconfitti. Vero, dottor Mario Calabresi, giusto lei che su La Stampa, lei che è così rispettabile, ha aspettato ben tre anni di vederlo cadere per scrivere di Berlusconi come di un «radioattivo»? Silvio Berlusconi lo segnaliamo per il premio «Non è fascismo». Ma il suo premio, dottor Calabresi, è certamente un altro: «Non è giornalismo».