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Alfano coordinatore Pannella ministro

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Il guardasigilli Angelino Alfano al partito, come coordinatore unico dopo la scoppola delle elezioni amministrative di maggio, e Marco Pannella - sì, proprio lui, il vecchio e inossidabile leader radicale - al Ministero della Giustizia Questo sì che sarebbe, da parte di Silvio Berlusconi, un salutare colpo di scena, capace di toglierlo dall'angolo in cui si trova, di rimescolare le carte, di rilanciare il suo governo e di utilizzare al meglio i due anni ormai scarsi che mancano alla conclusione ordinaria della legislatura. E tentare di arrivare alle prossime elezioni politiche con serie possibilità che il centrodestra le vinca, magari lasciando correre per Palazzo Chigi un nuovo candidato e riservando per sé un ruolo più nobile e ugualmente utile per il Paese: quello non più del premier ma del leader dello schieramento dei moderati. È solo un sogno? È fantapolitica? È provocazione? Mi auguro di no. Sarò pure un ingenuo. Sarò pure uscito di senno, ma non credo che Berlusconi, il mio amico ed ex editore Silvio, al quale i moderati italiani non saranno mai grati abbastanza di avere loro risparmiato nel 1994 l'umiliazione della vittoria dei presunti progressisti di Achille Occhetto, ferocemente preparata da un bel po' di Procure della Repubblica con una finta e comunque unidirezionale campagna di moralizzazione della politica e della società; non credo, dicevo, che Berlusconi potrà fare approvare le riforme annunciate continuando a puntare sulla risicata maggioranza parlamentare di cui dispone. E pensare, anche se gli dovesse riuscire un'impresa del genere, di poterle poi proteggere dal rischio di una bocciatura referendaria. No, con la stessa fortunata miscela di coraggio e lungimiranza che ha impiegato nella sua attività imprenditoriale, egli deve cambiare registro come presidente del Consiglio. E toglierci dall'imbarazzo, per non dire peggio, di vederlo inseguire ora questo e ora quel deputato in transito dal gruppo dei cosiddetti responsabili a quello misto. Non posso pensare che egli voglia ancora occuparsi, o lasciarsi consigliare da qualche amico o collaboratore di occuparsi di come recuperare, per esempio, la sottosegretaria ancora fresca di nomina ma già dimissionaria Daniela Melchiorre. Della quale, eletta - se non ricordo male - nelle liste del centrodestra tre anni fa, i cronisti parlamentari hanno letteralmente perso il conto dei traslochi politici effettuati da allora. La poverina, da magistrato in aspettativa, si è indignata per lo sfogo di Berlusconi con il presidente americano Obama, al recente G8 di Deauville, sulle sue vicende giudiziarie e, più in generale, sullo stato della giustizia in Italia. Figuriamoci la bile del giorno dopo, quando la signora ha saputo dell'analogo sfogo di Berlusconi con il presidente russo Mevdev. Ma, guarda un po' che combinazione, l'indignata era già «in sofferenza», secondo notizie pubblicate dappertutto senza l'ombra di una smentita, per essere stata nominata solo sottosegretario e non vice ministro, come si aspettava. Mi chiedo: può Berlusconi, per quanto vestito o travestito da Giobbe, andare avanti così, tra personaggi di questo spessore? Come può pensare di portare avanti le migliaia di votazioni parlamentari fra le quali dovrà procedere, per esempio, la riforma costituzionale della giustizia, con la separazione delle carriere dei pubblici ministeri e dei giudici e tutto il resto? Vogliamo scherzare?, farebbe dire Maurizio Crozza al solito Pier Luigi Bersani. Una riforma della giustizia della consistenza e della difficoltà appena proposte dal governo alle Camere, tra gli insulti, le minacce e i comizi delle opposizioni, togate e laiche, potrebbe avere qualche possibilità di tagliare il traguardo solo se ad occuparsene, e a gestirla, fosse chiamato appunto uno come Pannella. Che, per quanto reduce dalla follia di avere sostenuto a Napoli la candidatura a sindaco di uno come Luigi de Magistris, con il suo passato di magistrato che neppure il Consiglio Superiore ha potuto evitare di censurare, sarebbe l'unico capace, per temperamento e per conoscenza della materia, di mettere in crisi lo schieramento contrario alla riforma. La brava Emma Bonino, vice presidente del Senato per gentile concessione del centrosinistra, magari ne soffrirebbe, come si dolse nei mesi scorsi dei ripetuti incontri svoltisi tra Berlusconi e Pannella per parlare anche di giustizia, ma alla fine si rassegnerebbe pure lei, se la partita prendesse corpo davvero. E si ricorderebbe di tutti i bocconi amari che in questi anni hanno dovuto ingoiare i radicali nei gruppi parlamentari del Pd, peraltro dopo lo schiaffo subìto nelle elezioni del 2008. Quando l'allora segretario del partito Walter Veltroni negò loro il cosiddetto apparentamento per concederlo, pensate un po', ad Antonio Di Pietro. Che ne fece l'uso sin troppo noto, rifiutandosi poi di aderire con i suoi ai gruppi parlamentari del Pd, rivendicando il diritto di farne di propri, strappando a Veltroni un assenso che gli sarebbe stato formalmente impossibile rifiutare e infine facendo una concorrenza elettorale spietata ai «parenti» in tutte le elezioni a portata di mano: europee, regionali, provinciali e comunali. Anche a Napoli la candidatura di de Magistris a sindaco fu un sostanziale atto di ostilità politica di Di Pietro al Pd, che reclamò e presentò un proprio candidato, rimasto escluso però dal ballottaggio. In occasione del quale Bersani e il suo partito, arrivati nelle classiche braghe di tela, hanno dovuto accodarsi a de Magistris e subire, questa volta loro, il rifiuto dell'apparentamento. Pannella, ripeto, ministro della Giustizia e Alfano coordinatore unico del Pdl. Via, Cavaliere, ci faccia sognare. Torni alle origini, all'alleanza del 1994 anche con i radicali. E spiazzi ancora una volta i Suoi avversari. Che pure allora arrivarono alle elezioni politiche avendo alle spalle una lunga serie di vittorie elettorali amministrative. Pensavano di avere in tasca anche la vittoria elettorale politica, ma furono sconfitti. Lo ha appena ricordato a Bersani, guastandogli la festa di Milano e Napoli, anche quel rompiscatole di Massimo Cacciari in una intervista che al Pd hanno forse rimosso dalla rassegna stampa.

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