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La vera spina è Mondadori

Marina Berlusconi

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C'è una parola che è meglio non nominare a Silvio Berlusconi: Mondadori. Lodo Mondadori. La sentenza che sta per arrivare e che, in primo grado, l'ha condannato a pagare 750 milioni di euro a Carlo De Benedetti. Quando un cronista gli si presenta davanti nel bel mezzo del ricevimento al Quirinale per la festa della Repubblica, il Cavaliere si rabbuia. Si spegne. Abbassa gli occhi. Sino a un attimo prima aveva scherzato, si era fatto le foto con tutti quelli che erano andati a salutarlo. Poi la domanda: presidente, è preoccupato per Mondadori? S'irrigidisce, manco avesse preso una coltellata. Dice subito: «Sì, sono preoccupato». Si ferma un attimo: «Perché...». Si riferma. Attimi lunghissimi di silenzio. Il premier abbassa lo sguardo. Poi mette le mani avanti: «No, guardi. Mi sono ripromesso di non parlare». E lo ripete ancora, come se si volesse convincere: «Non voglio parlare. Guardi. Di questo argomento qui non voglio parlare». Si ferma di nuovo, fa un mezzo passo all'indietro: «Almeno fino a quando non si saprà la decisione». La decisione è, appunto, la sentenza. E che si stia preparando una rivoluzione nel gruppo Berlusconi lo si capisce dall'ora di pranzo. Quando a Palazzo Grazioli arrivano prima i figli di primo letto, Marina e Piersilvio, e poi quelli di seconde nozze, Barbara e Luigi. Manca solo Eleonora, pare che non sia riuscita ad arrivare perché ha perso un volo aereo. Sembra un summit aziendale. Se la sanzione sarà confermata è chiaro che le sue aziende dovranno rivedere il loro assetto. Potrebbe essere l'occasione anche per immaginare una linea di successione nei vari rami. Più tardi, nei giardini del Quirinale a Berlusconi viene chiesto appunto se, nel corso del pranzo, si è parlato del prossimo verdetto su Mondadori. Il Cavaliere ha uno scatto: «Ne parliamo tutti i giorni». Aggiunge: «È una cosa che incombe». Infine trancia il discorso: «Una sola cosa voglio dire, mi sento di dire». Quindi la detta: «Speriamo che giudichino secondo l'oggetto della sentenza e non secondo chi è amico e chi no». Gli viene chiesto se il pranzo di oggi è il preludio della discesa in campo politico di Marina. Lui taglia corto: «Se uno dei miei figli pensasse di fare politica lo diserederei. Oggi ho avuto da me i miei figli. Sono venuti solo per dimostrarmi la loro vicinanza. Li tengo a cena stasera e poi tornano. Siamo una famiglia unita. Anche Eleonora voleva venire dagli Usa. Ho figli belli e buoni che mi hanno dato nipoti super». Un fatto inconsueto il pranzo romano se si considera che di solito per questo genere di riunioni Arcore è la sede più adatta. Ma il Cavaliere questa settimana è solo passato per villa San Martino, visto che il week end l'ha trascorso in Sardegna saltando il consueto pranzo della domenica con i figli Marina e Piersilvio. E lunedì mattina è volato in Romania, così anche quello spazio di tempo che di solito è destinato alle vicende aziendali è saltato. Si è trattato dunque di un pranzo urgente quello di ieri a Palazzo Grazioli. Il caso Mondadori e non solo gli rispunta fuori quando saluta Pasquale Giuliano, presidente della commissione Lavoro del Senato, una carriera tra le toghe: «Ciao Pasquale, sei l'unico magistrato amico», gli dice dandogli un buffetto affettuoso. Niente a confronto dello schiaffo (sempre affettuoso) che riserva a Michele Vietti, vicepresidente del Csm, mentre gli viene incontro: «Vieni qua, mascalzone», gli dice tra le risate generali. Più in là c'è Luca Palamara che si guarda bene dall'andarlo a salutare. F. d. O.

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