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Il Pdl cambierà nome e simbolo

SIlvio Berlusconi e il simbolo del Pdl

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Il Pdl cambierà nome e simbolo ma probabilmente non adotterà le primarie per scegliere i candidati. L'ufficio di presidenza in cui si discuterà del futuro del partito è slittato a questa sera ma già ieri il premier Berlusconi ha assicurato di avere «le idee chiare». «Bisogna non scontentare nessuno e bisogna che tutti siano uniti - ha detto il Cavaliere - Io mi occuperò anche del partito per una sua presenza territoriale come era nel '94». Dubbi invece sulle primarie: «Io personalmente sono per tutto ciò che è espressione dell'opinione pubblica». E ha aggiunto: «Se la gente sceglie viene fuori quel che piace alla gente, l'ottimo candidato dal punto di vista della simpatia e del consenso». Ma poi ha sollevato alcune perplessità: «Mi sono sempre domandato come fai a sapere chi viene a votare». Del resto, ha constatato, «a sinistra hanno funzionato perché sono venuti fuori candidati che non appartengono al Pd. Il Pd ha perso le primarie». Ne discuteranno oggi i big del partito anche se il governatore della Lombardia Formigoni s'è già detto a favore. E se resta in primo piano la possibilità che il ministro Angelino Alfano diventi il coordinatore unico del Pdl, ruolo che sembra non «emozionare» il responsabile della Giustizia, dietro l'angolo c'è il braccio di ferro degli ex An. Perché se è vero che vice di Alfano potrebbe essere il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, Berlusconi vorrebbe comunque «salvare» Denis Verdini, affindandogli il ruolo di responsabile dell'organizzazione del partito. Una scelta che non sarebbe gradita al ministro La Russa, pronto a lasciare il posto di coordinatore soltanto nel caso la stessa sorte toccasse, appunto, a Verdini. Un nodo che andrà sciolto nei prossimi giorni. Poi, ovviamente, c'è all'orizzonte l'inevitabile rimpasto di governo. Si parla di Franco Frattini alla Giustizia e di Fabrizio Cicchitto agli Esteri. Mentre l'attuale vicepresidente della Camera Maurizio Lupi potrebbe diventare capogruppo del partito a Montecitorio o Guardasigilli. Ma questo quadro non avrebbe l'ok del ministro Frattini, che al coordinamento unico preferirebbe un direttorio, un organismo in cui siano rappresentate tutte le anime del movimento. La discussione sarà lunga. Ma quasi tutti sono convinti della necessità di cambiare nome e simbolo al partito. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno l'ha detto chiaro e tondo: «L'ipotesi di cambiare nome al Pdl è una cosa cui si stava pensando già prima delle elezioni e credo possa essere uno strumento importante, quasi obbligatorio, perché il Pdl è condizionato anche dal rapporto che c'era tra Berlusconi e Fini». Il sindaco ha comunque precisato che «più che al nome bisogna guardare alla sostanza e cioè ad un forte radicamento del partito nel territorio e tra la gente». Il primo cittadino della Capitale ha anche spiegato: «Il dato fondamentale è partire da un vero congresso del Pdl che riaggreghi tutte le forze che si sono separate dal partito in questi anni. Oggi dobbiamo affrontare il problema del futuro del centrodestra con serenità e consapevolezza». Per questo «dobbiamo fare in modo che ci sia una nuova fase politica: il tema preliminare è quello di una profonda riaggregazione intorno al Pdl. In questi anni - ha detto - molti pezzi si sono distaccati e quindi bisogna fare il congresso che sia di riaggregazione e richiami in un rapporto federativo tutte queste realtà». Nonostante questa posizione, il sindaco ha rilevato come «il primo che deve parlare è Berlusconi, per evitare quei protagonismi e quei personalismi che in questi momenti escono fuori». Le parole di Alemanno non sono piaciute al deputato romano del Pdl Fabio Rampelli: «In questi lunghi giorni di campagna elettorale non ho sentito una sola persona chiedere di cambiare il nome al Popolo della Libertà. La gente ci ha chiesto di governare e di non litigare, di non presentare più candidature nell'area del centrodestra per non favorire la sinistra, di presentare persone oneste, radicate, accessibili, umili, con capacità di ascolto, di creare lavoro per i ragazzi, di sconfiggere la piaga del precariato, di difendere l'acqua pubblica e di non costruire centrali nucleari, di risolvere i problemi dei campi nomadi, dei rifiuti, dei trasporti pubblici, del traffico e del degrado urbano». Mentre Roberto Formigoni, che ha ipotizzato una sua discesa in campo nel 2013 se Berlusconi andasse al Quirinale, guarda altrove: «Il nuovo leader lo identificheremo con le primarie. La fiducia degli italiani nei confronti del centrodestra è un giacimento di petrolio esauribile. Servono riforma tributaria, economica, un federalismo vero e diminuire il numero dei parlamentari». Ma il governatore lombardo dà il via libera, anche senza primarie, al ministro della Giustizia come coordinatore unico: «Alfano gode della mia stima e se Berlusconi decidesse di fare di Alfano il coordinatore unico, mi troverebbe d'accordo».

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