Napoletani, quella monnezza è rossa
Se a Napoli vincerà De Magistris non sarà soltanto, per quella città, un infortunio politico, e forse anche una sventura sociale. Sarà un disastro spirituale. E questo per la semplice ragione che è impossibile immaginare qualcosa di più difforme e dissonante dalla vera anima napoletana impasto di feroci brame punitive e fatue, illusorie speranze di rinnovamento e risveglio che ha reso possibile il successo di un personaggio che insieme al ricordo dei micidiali flop con cui si conclusero, quando indossava la toga, tutte le sue celebri imprese di giustiziere non meno spavaldo che sconsiderato può sfoggiare soltanto l’incompetenza vanesia e aggressiva di un piccolo guappo della politica. Che può saperne dell’anima napoletana un magistrato fallito votatosi alla politica per poter continuare ad appagare senza rischi la stessa maligna passione castigatrice con cui da magistrato dell’accusa ha promosso un bel gruppetto di inchieste non meno sballate che rovinose per tutti coloro (e non migliaia di sventurati) che hanno dovuto subirne gli effetti? Come si può pensare che un simile figuro abbia qualcosa a che fare con lo spirito di una città che in tutte le sue più toccanti manifestazioni ha sempre espresso un profondo, delicato sentimento creaturale della vita? E che a tutti i suoi figli, ai più innocenti e gentili come ai più miserabili e abietti, ha sempre trasmesso lo stigma di un’umanissima pietas? Dunque non lui, che dopo tutto è soltanto una modesta e molesta macchietta della presente commedia italiana, ma la dissennata fiducia riposta in lui dai suoi elettori, dovrà essere considerata, se il ballottaggio lo premierà, la spia di un disastro spirituale. Nei giorni scorsi si è detto spesso che il credito assegnatogli sia figlio della disperazione generata dall’interminabile dramma della monnezza, il che è certamente vero, o almeno assai verosimile. Questa spiegazione però non basta ad attenuare la gravità del fenomeno. Anzi la accresce aggiungendo all’insieme delle sue cause l’efficacia di un fattore – la stupidità – che è quanto meno singolare esser costretti ad attribuire ai napoletani. Soltanto una smisurata balordaggine può infatti giustificare l’idea che la soluzione del problema dei rifiuti possa essere affidata a un piccolo politicante pompato da quella stessa sinistra sconfitta e disperata che con tutta la sua boria, nei circa vent’anni di ininterrotto governo della città, ha lasciato che quel problema assumesse le dimensioni di una catastrofe urbana. Altrimenti resta un incomprensibile enigma il fatto evidente che a tanti cittadini sia sfuggito che questo eterno ritorno della monnezza a Napoli sarebbe dovuto da un pezzo bastare da solo a dar loro misura della vergognosa bancarotta di una corporazione politica che ò riuscita a trasformare in una specie di immensa fogna a cielo aperto una città che resta, nonostante tutto, uno dei luoghi più incantevoli della terra. Non resta perciò che sperare nella sagacia di quel Pulcinella che sempre sonnecchia nei petti dei napoletani. Al quale credo che non sia affatto sfuggito che questo disastro è nel suo piccolo una catastrofe analoga a quegli altri colossali eventi escrementizi che furono il crollo del muro di Berlino, l’implosione dell’Urss e il collasso del comunismo mondiale, ossia un paragrafo della storia degli effetti del tramonto del comunismo. E che l’abbagliante miscela di incompetenza, inefficienza e supponenza che i più pregiati avanzi del comunismo locale, per più lustri mantenutisi al potere col sostegno di alcuni illustri rottami del vecchio partito cattolico, vanno sfoggiando anche in questa luminosa circostanza, è in fondo abbastanza simile allo specialissimo cocktail di virtù politiche e amministrative che ha sempre permesso alle cricche dirigenti dei socialismi reali di portare quei regimi allo sfascio e alla dissoluzione… Perciò domani, all’ultimo momento, proprio e soltanto lui, il povero Pulcinella, nel segreto delle cabine elettorali, potrebbe forse riuscire a ricordare agli elettori questa elementare evidenza: che la vera causa dello scandalo della monnezza resta l’imperturbabile fermezza con cui una gagliarda pattuglia di reduci locali di quella nobile armata mondiale che aveva a lungo sognato di costruire il paradiso comunista in terra è riuscita a trasformare in un inferno, lasciando che periodicamente vi si accumulassero immani montagne di merda, uno dei più famosi paradisi della terra. Ragion per cui questa impresa a suo modo epocale, lungi dall’essere l’indizio più tragico, disgustoso e stupefacente di una situazione assolutamente eccezionale, è invece soltanto una delle innumerevoli conferme della strepitosa perizia del comunismo – non soltanto di quello incarnato dai suoi avanzi napoletani e italiani di oggi bensì di quello ideale ed eterno – in quel gioco di bussolotti che consiste appunto nel realizzare sempre e soltanto il contrario di quel che promette…