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Difficile trovare una qualche certezza all'interno del Pdl.

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Volaa Bucarest, è in un incontro istituzionale mentre arrivano i primi risultati peraltro attesi. Ampiamente attesi. Il premier prova a farsi mostrare all'opera, impegnato nel suo lavoro. Un modo per dimostrare che non farà passi indietro. Anzi, che intende andare avanti. Quando incrocia i giornalisti in un hotel dice che non sa ancora nulla. È sconvolto dalle dimensioni del successo di De Magistris. Tanto che in serata dirà: «Penso che a Napoli si pentiranno tutti moltissimo. Spero che non debba succedere così anche a Milano». Impressionato anche dal fatto che il centrodestra perde dovunque sia andato lui di persona: Crotone, tanto per fare un esempio. Solo al tramonto decide di commentare: «Abbiamo perso, è evidente» e «non c'è altra strada se non tenere i nervi saldi e andare avanti; la maggioranza è coesa e determinata» nel fare le riforme a cominciare «dal Fisco, dalla Giustizia e dal piano per il Sud». Prova ad attaccarsi alla sua squadra di calcio, che si è appena cucita sul petto lo scudetto: «Il Milan qualche volta vince e qualche volta perde. Questa volta non abbiamo vinto ma andiamo avanti. Se volete sapere il mio morale è che ogni volta che perdo triplico le forze». L'opposizione è scesa in piazza per chiedere le sue dimissioni. Lui, al cronista che gli chiede che ne pensa, sorride: «Io sono in disaccordo sempre con la sinistra, vuole che dia ragione alla sinistra adesso? Ma dai...». Altra domanda su Bossi, il premier sembra sereno: «Bossi è d'accordissimo ad andare avanti insieme e a governare nella direzione di queste riforme». Gli viene poi domandato se pensa di aprire la maggioranza a nuovi partiti: «Allargare? Allargare che cosa? Io faccio cure dimagranti per restare più in forma». Ultimo quesito riguarda proprio Berlusconi, se si sente in qualche modo responsabile: «No, no», dice secco. Insomma, non indica una direzione di marcia. Se non quella di continuare a governare. Una linea minimal. L'altro punto fermo del suo ragionamento era che il Pdl così com'è non funziona più. E tanto vale dargli una spolveratina, un restyling. Una ventata di novità. Il suo primo pensiero era nominare un coordinatore unico e in quella posizione il nome che Berlusconi aveva in testa era ed è Angelino Alfano. Nella notte conferma: «Alfano coordinatore? È tutto un processo già previsto. Stiamo vedendo. È un lavoro per il Pdl che vogliamo rilanciare alla grande e di cui mi occupo direttamente». Allora perché non lo fa? Perché già si è mossa la contraerea. Franco Frattini si è portato avanti e ha lanciato il «direttorio». Non un rifiuto a Alfano, ma uno stop all'idea di un uomo solo al comando. Ma il direttorio non ha raccolto grandi adesioni, a cominciare soprattutto dall'area Cicchitto-Verdini e in parte dagli ex An guidati da Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri che vogliono mantenere l'esistente. Allora Frattini rilancia e sposa un'idea di Roberto Formigoni: le primarie. Il presidente della Regione Lombardia, con la sua Rete Italia, si sente pronto a scalare il partito nazionale. Il ministro degli Esteri la mette giù così: «L'idea delle primarie rappresenta, ancor prima che il Congresso, il vero meccanismo trasparente e regolato per evitare la balcanizzazione del Pdl. Solo se ancorate a regole certe, le nostre primarie prenderebbero le distanze da quei vizi e rischi che hanno spesso caratterizzato la selezione della classe dirigente della prima Repubblica, resa appunto artificiosa da un ricorso a volte opaco al fundraising o dalla commistione con attività "affaristiche" determinate dalla caccia al consenso». Insomma, meglio le primarie che il tesseramento per effettuare il quale le truppe organizzate sono più forti. E vada per le primarie. Ma quali? Perché lo stesso Frattini mette subito in chiaro che per lui la leadership resta in mano a Berlusconi e dunque non si capisce le votazioni all'interno del partito a che cosa servano. Forse lo spiegherà, il leader di Liberamente (una delle componenti principali all'interno del Pdl), agli ex Forza Italia che convocherà oggi. Frattini infatti vorrebbe una riunione degli ex forzisti per cercare una linea comune. Magari per chiedere a Berlusconi di fare qualcosa. Gli ex An al momento non hanno vertici in cantiere. Anche perché escono piuttosto divisi dalle urne. Altero Matteoli e Gianni Alemanno cercano spazio. Il ministro delle Infrastrutture cerca di rimettere a posto la sua vecchia componente assieme ad Adolfo Urso. Il sindaco di Roma, che appare sempre meno interessato alla Capitale e più attratto dal voto a Sora e Terracina, vorrebbe rivisitare la sua componente. Segue da vicino le mosse di Renata Polverini che a sua volta sembra agganciata al carro di Forza Sud, il nuovo partito che sta mettendo su Gianfranco Miccichè: una sorta di Lega Sud che compensi il partito del Senatùr. D'altro canto la sconfitta di Milano non è poco per un governo che può contare i ministri di Economia, Interno, Istruzione e Ricerca, Sviluppo Economico, Riforme, Semplificazione, Turismo, Difesa, Salute tutti lombardi. Nessuno può alzarsi e puntare il ditino. E il Cavaliere? Fa solo sapere: «Il partito adesso farà un pensamento al riguardo della propria organizzazione, che avevamo già in mente di cambiare per radicarci di più sul territorio. Lo faremo e andremo avanti a fare ciò che ci sembrerà il meglio».

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