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Emma va alla guerra «Non ci pieghiamo a Fiat»

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«Nonci pieghiamo alle esigenze di qualcuno. Confindustria rappresenta tutte le imprese. Sono finiti i tempi in cui poche aziende decidevano l'agenda di Confindustria, non esistono soci di serie A e soci di serie B». Nel mezzo della relazione, davanti al ricco parterre riunito per il tradizionale appuntamento con l'Assemblea annuale e con la presenza straordinbaria del Capo dello Stato Napolitano, il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia manda a sorpresa un messaggio perentorio alla Fiat: se l'ad Sergio Marchionne ha deciso di rivoluzionare il sistema delle relazioni industriali, se ha deciso di uscire da Confindustria, si accomodi pure, non sarà certo Confindustria a rincorrerlo, e tanto meno a piegarsi alle sue esigenze. Anche se il presidente del Lingotto John Elkann si affretta a dire ai cronisti che l'addio a Confindustria «non è un tema di oggi e non è sicuramente un tema d'attualità» lo strappo è reale e irreparabile. L'uscita dal sistema confindustriale e quindi dal contratto nazionale, è più di un'ipotesi. È in agenda, eccome. E la Marcegaglia lo sa. Marchionne procede in velocità. Entro l'anno la Fiat salirà al 51% di Chrysler e potrebbe arrivare a controllare fino al 70% della casa di Detroit se eserciterà tutte le opzioni call in suo possesso. Ma su questa strada ci sono gli scogli italiani. E il principale sono le relazioni industriali. La Fiat teme una sconfitta in tribunale contro la Fiom che ha impugnato l'accordo di Pomigliano. Il processo inizierà il 18 giugno e potrebbe concludersi entro l'estate. In caso di sconfitta tutti gli accordi separati firmati a Pomigliano, Mirafiori e alla Bertone decadrebbero e Fiat verrebbe condannata per aver violato la legge. L'unica soluzione è un provvedimento legislativo che però appare complicato. Per essere al riparo dalle conseguenze della sconfitta non resta che uscire da Confindustria e quindi dal contratto nazionale, adottando per tutto il gruppo il contratto di Pomigliano. Una strada obbligata e Marcegaglia lo sa bene. Ma soprattutto la presidente non ha digerito gli articoli su questa eventualità apparsi il giorno steso dell'Assemblea. Di qui la reazione stizzita e a sorpresa. Così a metà relazione sbotta. «Devo rappresentare tutte le 150mila imprese iscritte. Per me sono tutti uguali, noi non agiamo sotto pressione di nessuno, noi non pieghiamo le regole della maggioranza alle esigenze di un singolo». Rivendica alla sua presidenza di «aver fatto molto sulle relazioni sindacali, senza strappi improvvisi». Il presidente della Fiat John Elkann la segue attentamente e non riesce a nascondere lo stupore per un attacco inaspettato e di fronte alla massima autorità che è il presidente Napolitano. Peraltro Fiat si attendeva da tempo qualcosa di concreto da Confindustria sul fronte della governabilità delle fabbriche ma nulla finora è arrivato. Mentre è in corso l'intervento del ministro Romani, Elkann si avvicina alla Marcegaglia e chiede spiegazioni. Poi a fine Assemblea parla con i due vicepresidenti di Confindustria, Alberto Bombassei e Gianfelice Rocca. Nel parterre non si parla d'altro. L'uscita della Fiat avrebbe un effetto di trascinamento sulle altre imprese che sarebbero tentate di abbandonare il contratto nazionale per sistemi più flessibili. Senza la Fiat, Confindustria avrebbe un innegabile calo di peso rappresentativo oltre a una perdita finanziaria non trascurabile. Fiat rappresenta circa l'1% dell'ammontare contributivo del sistema confindustriale, pari a circa 7-8 milioni di euro l'anno. In crisi andrebbe anche Federmeccanica dove il Lingotto ha un ruolo di leadership. Un vero e proprio terremoto dalle conseguenze imprevedibili.

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