Sui ministeri al Nord la tregua è armata
La tregua «armata» è stata siglata. Bossi ha cambiato strategia. Almeno fino ai ballottaggi il Senatùr ha deciso di riporre la spada di Alfredo da Giussano. Lo ha promesso al Cav in cambio della promessa di riprendere il discorso dopo il 29 maggio. Fino ad allora si marcia compatti. Poi, negli obiettivi del Cav, ci sarebbe la speranza di convincere l'alleato nordista ad aprire dei semplici dipartimenti (una sorta di succursali ministeriali) al posto di trasferire in toto i dicasteri. Una mediazione che sembrava aver trovato il parere favorevole del Carroccio visto che ieri Roberto Calderoli ha usato, per la prima volta, la parola «dipartimenti» nel ribadire la richiesta del suo partito di avere una rappresentanza del governo anche al Nord. Eppure, nonostante l'accordo tra il Cav e il Senatùr sembrava, la sfida tra la Lega e l'ala del Pdl contraria al trasferimento al Nord di alcuni ministeri continua ad alimentare dei duri botta e risposta tra le due parti. Il primo a gettare benzina sul fuoco è stato proprio lo stesso ministro Calderoli che ieri ha voluto fornire l'interpretazione autentica dell'accordo chiuso tra Bossi e Berlusconi: «L'operazione "ministeri al Nord" andrà avanti, perché il premier ha dato la sua parola alla Lega». Il senso del vertice dunque sarebbe stato quello di «neutralizzare» la questione in vista dei ballottaggi, evitando che potesse essere «strumentalmente interpretata». Parole che non sono piaciute al sindaco di Roma il quale, non solo ha dimostrato di non essere soddisfatto della semplice derubricazione dei dicasteri in dipartimenti, ma ha voluto rincarare la dose: «Berlusconi ha ribadito che non è in vista nessun spostamento di ministeri al Nord: per me la questione è chiusa così». Poche frasi pronunciate all'uscita da Palazzo Grazioli al termine dell'ufficio di presidenza del Pdl al quale aveva partecipato anche il premier. Ma l'affondo Alemanno lo riserva in conclusione del suo sfogo: «Credo sia necessario un voto parlamentare che dica no a questo smembramento delle funzioni della Capitale, bisogna avere un confronto politico molto serio per archiviarli definitivamente». Una richiesta poi leggermente modificata dietro un «se fosse necessario rimane la nostra richiesta di un voto del parlamento». Eppure a mettere la parola fine a tutta la vicenda è il presidente del Consiglio durante la puntata di ieri sera a Porta a Porta nella quale ha minimizzato la questione accusando i giornali «di aver creato un caso che non c'è» anche perché il fatto che la Lega voglia «aprire un ufficio affidato a un suo ministero» al Nord è una «cosa assolutamente naturale». Intanto l'agone politico analizza la situazione. E se da una parte Pier Luigi Bersani invita il governo a «levarsi di torno», il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto annuncia che il problema del voto in Parlamento non sussiste: «Non è un problema di voto in Parlamento, è una questione che abbiamo deciso di rinviare a dopo le elezioni per approfondirla nei modi dovuti». Ma anche dalla Lega arriva una voce fuori dal coro: «Ministeri al Nord? No, grazie». È l'europarlamentare Mario Borghezio a sollevare le proprie perplessità spiegando che è «meglio che non spostino i ministeri: i "fancazzisti" romani a Milano sarebbero una contraddizione in termini». Poi la chiosa: «Io non li voglio i ministeriali romani, se ne rimangano lì, che mi stanno già abbastanza sulle balle quando vado a Roma per fare qualche pratica». Un chiaro esempio di «diplomazia» politica.