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S&P bacchetta l'Italia. La crescita è debole

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In controtendenza con le valutazioni positive del Fondo Monetario internazionale e dell'Ocse, ieri è arrivata la bocciatura di Standard & Poor's. L'agenzia di rating ha rivisto al ribasso l'outlook dell'Italia da stabile a negativo, confermando il rating A+ al debito a lungo termine. La previsione fosca è determinata dai maggiori rischi legati al piano di riduzione del debito pubblico a causa, si legge nella nota, «di una crescita economica potenzialmente più debole del previsto e di un possibile stallo politico». Questi due fattori potrebbero contribuire ad «uno slittamento del piano di riduzione del debito pubblico». Le ridotte prospettive di crescita derivano, secondo l'agenzia di rating, da una mancanza di impegno politico nella deregolamentazione del mercato del lavoro e nell'introduzione di riforme per aumentare la produttività. Per uscire dallo stallo il percorso è obbligato: misure volte a ridurre i colli di bottiglia e le rigidità dell'economia. L'Italia infatti non può ricorrere a svalutazioni competitive perchè è inserita nell'Unione Monetaria Europea e ha una limitata flessibilità fiscale a causa dell'elevato livello di indebitamento. Standard & Poor's si attende che «in futuro il livello del debito governativo italiano rimarrà il principale vincolo per il rating e prevede che l'indebitamento netto governativo raggiunga il 116% del pil nel 2011, dal 100% del pil nel 2007 e in linea con il livello del 1997. L'agenzia di rating ritiene inoltre che «la probabilità che l'Italia non riduca il debito governativo netto al di sotto del 113% del pil entro il 2014 sia maggiore del 33%». L'analisi è impietosa. Dopo la contrazione del 2008-2009 la ripresa economica in Italia è stata debole, determinata principalmente dalla riduzione delle esportazioni nette e il deficit commerciale tradizionalmente vicino all'equilibrio, è cresciuto negli ultimi 15 mesi. L'economia non è riuscita a beneficiare del rafforzamento della domanda esterna a causa della bassa crescita della produttività, della limitata mobilità nel mercato del lavoro, e di una costante erosione di competitività internazionale negli ultimi dieci anni. Si tratta di debolezze strutturali che fanno parte del sistema Italia da decenni, ora incidono sulla crescita e di conseguenza sul debito in modo più forte «a causa dell'intensificarsi della concorrenza nei settori chiave per l'esportazione, dell'ulteriore apprezzamento del tasso di cambio reale deflazionato dalle dinamiche salariali e del rischio di un aumento dei costi della raccolta nei settori pubblico e privato». Ma l'agenzia di rating muove anche una dura accusa al governo. Ritiene che le misure strutturali attuate nel 2010 e quelle contenute nel Piano Nazionale di Riforma recentemente aggiornato «non siano sufficienti a stimolare la crescita nel medio termine». Non solo. la «fragilità» della maggioranza rende «più impegnativa la tempestiva attuazione delle riforme strutturali». «Il potenziale ingorgo politico - avverte - potrebbe contribuire ad un rilassamento nella gestione del debito pubblico». Risultato: se la crescita dovesse continuare a questi ritmi, sarà molto difficile che vengano raggiunti gli obiettivi del governo e di conseguenza ci sarebbe un «deragliamento del piano di riduzione del debito contenuto nel Programma di Crescita e Stabilità». La situazione è destinata ad aggravarsi nel lungo termine quando «lo sfavorevole profilo demografico» sarà un altro ostacolo alla crescita. L'agenzia insiste sull'elevato costo degli interessi sul debito pubblico, pari a oltre il 10% delle entrate pubbliche nel 2011 e previsto in ulteriore aumento. «Gli interessi passivi - si legge nella nota - riflettono l'impatto dell'elevato indebitamento pubblico sulle finanze italiane. Dall'altro lato, i solidi bilanci delle famiglie e delle aziende hanno consentito al governo di finanziarsi a tassi storicamente bassi. L'agenzia quinsi si attende che questi tassi bassi possano facilitare un consolidamento fiscale più graduale rispetto ad altri paesi dell'Europa meridionale. Infine c'è la situazione delle aziende la cui posizione all'estero (compresi gli investimenti diretti esteri e il patrimonio netto) è pari al 42% del pil, equivalente al doppio della posizione debitoria netta sull'estero del settore finanziario. Tuttavia, la posizione debitoria netta sull'estero del settore pubblico è pari a 782 miliardi di euro (50% del pil).

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