Anni e anni di comportamento da «formica» hanno consentito agli italiani di parare il colpo della crisi
Maanche il più grande tesoretto, alla fine, se non viene rimpinguato tende ad assottigliarsi. Ed è quello che l'Istat, ieri, nel suo rapporto sul 2010 ha messo in evidenza. Le famiglie hanno messo mano ai risparmi per salvaguardare il livello dei consumi. Così facendo, nel breve termine, sono riuscite a permettersi uno standard di vita senza eccessivi sacrifici ma progressivamente hanno eroso la loro capacità di mettere da parte per il futuro. Così il loro tasso di risparmio è «sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell'Ue». Secondo l'istituto di statistica lo scorso anno la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 9,1%, «il valore più basso dal 1990». Una performance al ribasso nonostante che il reddito disponibile sia tornato a crescere (+1%) dopo la flessione del 3,1% del 2009. A fiaccare la capacità degli italiani l'inflazione che ha ridotto il potere d'acquisto delle famiglie, che ha subìto un contraccolpo dello 0,5%, dopo il -3,1% già registrato nel 2009. La dinamica dei consumi, più sostenuta rispetto a quella del reddito, ha dunque ulteriormente ridotto il risparmio, diminuito in valore assoluto del 12,1% nel 2010. A dover contrarre debiti o a dover fare ricorso alle proprie risorse patrimoniali è stato così il 16,2% dei nuclei familiari. L'Istat ha denunciato situazioni di grave difficoltà per questo: la percentuale di famiglie incapaci di far fronte a spese impreviste di 800 euro arriva al 33,3%, quella delle famiglie in arretrato nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette o debiti diversi dal mutuo) all'11,1%; le famiglie che non possono permettersi di comprare una lavatrice o una televisione sono il 3,9%; mentre il 6,9% non può acquistare un pasto proteico almeno ogni due giorni. Infine quasi il 40% delle famiglie ha dichiarato di non potersi permettere una settimana di ferie lontano da casa. A pagare il prezzo più alto alla crisi sono stati in particolare «i giovani e le donne a pagare in misura più elevata la crisi» ha sottolineato il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini. In soli due anni, tra il 2008 e il 2010, oltre mezzo milione di under-30 ha perso il posto. E chi ha un lavoro, in un caso su tre, può contare solo su un contratto «debole», a termine o di collaborazione. Insieme alla precarietà crescono anche i fenomeni di scoraggiamento, tanto che il numero di chi né studia né ha un'occupazione, tra i 15 e i 29 anni, nel 2010 sale ancora, superando quota 2,1 milioni, vale a dire uno su cinque. Il Rapporto dedica anche spazio alle donne, che durante lo scorso anno, sono riuscite a mantenere stabile l'occupazione (con un tasso che rimane comunque basso, al 46,1%), ma, allo stesso tempo, hanno subìto una riduzione della qualità del lavoro. È, infatti, calata l'occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center.