Il Carroccio romanizzato
La dislocazione dei ministeri non è materia municipale. È grottesco che se ne parli nel corso di una campagna elettorale amministrativa. Ho l’impressione che, oramai, il livello e la temerarietà delle promesse siano tali da presupporre l’esistenza di elettori che oscillino fra la più cieca creduloneria e il totale scetticismo. In ogni caso l’effetto è più offensivo che accattivante. Ma, ammettiamo che si stia parlando seriamente: è così bello e interessante avere un ministero sotto casa? Noi cittadini romani «godiamo» di tale privilegio, però fatichiamo a considerarlo tale. Gli uffici parlamentari e ministeriali si sono espansi per tutto il centro storico, permeando a sé quelli che un tempo erano alberghi, negozi e abitazioni. Il tangibile risultato, per i cittadini, è la costante piaga delle macchine di servizio, parcheggiate dove non dovrebbe sostare nessuno e affidate ad autisti che, regolarmente, sono altrove. C’è un significativo indotto per bar e ristoranti, ma anche una mostruosa disfunzione organizzativa. Se si entra dentro questi uffici, spesso collocati in palazzi storici, si coglie immediatamente la loro inadeguatezza: spazi mal distribuiti, cablaggi artigianali, per non parlare della loro irraggiungibilità. Mi sfugge perché tutto questo dovrebbe essere «promesso», laddove credo che si potrebbe, semmai, minacciarlo. Totalmente diverso il discorso se si puntasse a realizzare la «città del governo», come si è fatto in altre capitali, ad esempio Berlino. In questo caso si tratterebbe di realizzare infrastrutture serie e dedicate, spazi adeguati, parcheggi e servizi all’altezza delle necessità. Spostando tutto fuori dal centro storico. E, ovviamente, a cura del governo, non del consiglio comunale. La Lega debuttò prendendosela con «Roma ladrona», intendendosi per tale, credo, non il comune o la cittadinanza, ma la capitale quale incarnazione del potere centrale, amministrativo e fiscale. Uno slogan che ebbe successo, si scolpì nella mente di molti e sintetizzò un desiderio di meno oppressione burocratica. L'idea di disseminare i ministeri in giro per l'Italia, invece, somiglia al tentativo di «romanizzare» (nel senso deteriore) tutti. Passi che la Lega di governo esercita un'attrazione elettorale inferiore a quella di lotta, che la ragionevolezza dimostrata è meno affascinante delle sparate demagogiche, ma non credo proprio che portando i ministeri a Milano si possa considerare compiuta quale sia missione di rinnovamento, o anche solo decentramento. Con oggi si entra nell'ultima settimana di campagna elettorale, senza che i ballottaggi siano riusciti a spostare l'attenzione verso le cose da farsi. La concretezza dei programmi non è riuscita a prevalere sull'eco delle parole vuote. È strano che non se ne accorga chi governa, perché l'irrazionalità favorisce chi non ha responsabilità immediate, chi può dire di non aver colpe nella crisi. Insomma: non si può stare al governo e continuare a far campagne elettorali come se si fosse all'opposizione. Se si perde il vantaggio d'esporre le cose fatte si lascia campo libero a chi punta il dito su quelle che mancano. Né il vuoto può essere colmato con trovate dell'ultimo minuto, addirittura rimangiandosi le scelte del passato e, quindi, avvalorando l'impressione di non essere stati all'altezza. È solo una campagna amministrativa, ma è divenuta la rappresentazione di un vuoto politico che coinvolge e caratterizzata tutta intera la cosiddetta seconda Repubblica.