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«Non è un caso isolato»

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«Nonè un episodio isolato. Purtroppo questa volta una bimba è morta, ma ogni giorno in Italia e nel mondo molte persone, soprattutto le mamme, lasciano i figli in macchina andando a fare la spesa al supermarket, dimenticandosi completamente di averli portati con sé. Poi queste vicende non escono fuori perché l'assenza non dura più di un'ora e quasi sempre, fortunatamente, i bambini non subiscono conseguenze». Chiamata a commentare la morte di Elena, entra subito nel cuore della notizia la dottoressa Adelia Lucattini, psichiatra e psicanalista, presidente della Società internazionale di psichiatria integrativa e salutogenesi, in Roma. In quale filone può essere inserito il caso di Teramo? «Si tratta di abusi e di violenze indiretti ai bambini: nel senso che vengono perpetrati senza una volontà esplicita dei genitori, i quali fanno del male privi dell'intenzionalità nel gesto compiuto». Tecnicamente cosa può essere accaduto? Cosa è scattato nella mente del padre di Elena? «Ho avuto l'impressione che sia stato un atto mancato, provocato da una sorta di "rimozione", ovvero da un'angoscia, da qualcosa di personale che questo padre può aver avvertito. Accade a molte persone che, anziché compiere un gesto aggressivo verso qualcun altro, lo fanno omettendo qualcosa. Esempi? Un esame di maturità saltato perché non ci si alza, la prova di un concorso mancata perché si perdono le chiavi dell'auto, e una serie infinita di altre omissioni viste come azioni necessarie dal protagonista inconsapevole». Quale può essere stato l'elemento scatenante? «In questa circostanza può essere legato al fatto che la bimba dovesse essere accompagnata all'asilo dal genitore che normalmente non era deputato al compito, ovvero al padre. Una richiesta fatta dalla moglie ed evidentemente accettata obtorto collo dall'uomo, probabilmente ossessionato dai propri tempi, dalla fobìa dei ritardi». È il caso di uno psicotico? «Non direi. Piuttosto di una persona fortemente nevrotica, in possesso di una pronunciata aggressività nei confronti della moglie: insomma, lei lo aveva indotto a compiere una cosa che lo ha fatto uscire dalle proprie abitudini. Un ritardo, un'ansia di prestazione ha creato un black-out nella mente dell'uomo. Una rabbia non gestita. In quel momento è come avere una doppia personalità e prevale quella molto arrabbiata perché schemi, evidentemente solo in apparenza forti, sono stati violati». Quello da lei ipotizzato è un quadro psichiatrico conosciuto? «Certamente sì ed è ben delineato da meccanismi di scissione e spostamento. In parole povere la rabbia viene scissa del tutto dalla propria mente, come se venisse tagliata con un coltello, e spostata su un'altra persona in modo del tutto inconsapevole. Ciò provoca un black-out nella memoria transitoria che può durare da alcune ore fino al massimo di un giorno intero». È un meccanisno senza ritorno? «No, poi la mente si ricompone, torna la memoria. C'è bisogno di uno stimolo esterno: nel caso del padre di Teramo è accaduto aprendo la macchina alla fine del turno di lezioni, ma poteva succedere anche indipendentemente dall'esigenza di dover riprendere il mezzo. Nella vicenda che stiamo commentando si può essere trattato di una forma di autoipnosi indotta. Il fatto che la piccola dormisse, come è probabile, ha agito da sensore spento nella percezione dell'uomo che si è lasciato suggestionare da quella che nella sua mente si è manifestata come un'assenza». Come vivrà adesso questo padre? «La sua posizione è molto delicata: quest'uomo è a rischio suicidario perché molto spesso la morte di un figlio, se non c'è una rielaborazione del lutto, apre le porte alla depressione e a una possibile rottura del rapporto. Chi perde dei figli, se non riesce a fare coppia, a unirsi intorno al dolore, è destinato il più delle volte a separarsi» Come può essere aiutato il padre di Elena? «Adesso va incontro a un senso di colpa, di vergoggna verso il mondo esterno, in una situazione di dolore e di sofferenza interiori che non sarà facile superare senza l'aiuto di un'équipe di professionisti che riesca a capire tutto quanto sia successo per affrontare un recupero. Dietro questa tragedia c'è di sicuro un problema preesistente che, però, non sempre si manifesta a tal punto da preoccupare. Infatti, molto spesso, sia pure con grande sforzo, questi soggetti riescono a condurre una vita normale. Loro stessi potrebbero accorgersi di un disagio, ma non comunicarlo».

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