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Il Pdl bocciato dalle partite Iva

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Il popolo delle partite Iva sembra aver esaurito il credito dato alla politica. Nell'analisi post voto spicca, infatti, l'abbandono di Pdl e Lega da parte di una fetta importante di commercianti e piccoli artigiani. Un campanello di allarme suonato soprattutto al Nord, dove il Carroccio ha sempre fatto leva su queste categorie economiche fortemente legate al territorio ed estremamente sensibili ai temi del federalismo fiscale. Non a caso ieri Dario Di Vico sulle pagine del Corriere della Sera ha parlato di crepe aperte in quel «nordismo» che in passato aveva saputo tenere assieme la borghesia industriale del Nord, gli artigiani e i commercianti, e una quota consistente di operai. Operazione che non si è ripetuta a questa tornata elettorale. Colpa anche dell'accentuazione dei toni populisti da parte del Pdl che non sembra pagare in termini di consenso, come non sembra vincente il ricorrente braccio di ferro tra il premier e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sulle presunte misure anticrisi. Il risultato, fa dunque notare Di Vico riferendosi al caso lombardo, è che se il Pdl dovesse perdere al ballottaggio per il Comune di Milano gli resterebbe come unico amministratore di peso nel Nord Roberto Formigoni, la cui identità politica però è ciellina e non berlusconiana. La campana suona anche per la Lega che mantiene soprattutto al Nordest il voto dei piccoli, artigiani e lavoratori autonomi che siano, ma non allarga più tanto la sua rappresentanza sociale nonostante per la prima volta possa contare su due governatori nelle regioni del Nord piuttosto propensi a esporsi mediaticamente. In questo caso Bossi paga il prezzo dell'arrocco rispetto ai temi dell'innovazione e del terziario con il risultato che una parte del voto in libera uscita dal Pd non si è rivolto al Carroccio preferendo magari l'astensione. Le stesse liti tra berlusconiani e leghisti sulla regolamentazione delle produzioni tessili «made in», fa notare ancora Di Vico sul Corriere, mostra come il solco si sia allargato e di conseguenza non sia più così automatico fondere i due elettorati in un'unica proposta politica. Non sono solo gli osservatori politici a evidenziare questo distacco, ma la stessa base. Dal Veneto arriva infatti la voce di Mario Pozza, presidente di Confartigianato della Marca Trevigiana: «Dal fisco alla burocrazia, al di là degli annunci non è cambiato niente», commenta Pozza a Il Tempo. Anzi, l'ultimo decreto sulle rinnovabili e il nuovo sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti denominato Sistri (che secondo Pozza costringe le piccole imprese a pagare servizi inesistenti) «sono stati l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso». La categoria chiede di mettere mano alle riforme per sostenere il tessuto delle microimprese che, nel caso della provincia di Treviso, «vantano un export pari a quello della Serbia. Invece si continuano a prendere provvedimenti a senso unico sia a livello regionale che nazionale. Penso al federalismo fiscale che entra nei bilanci delle aziende come dimostra la nuova imposta municipale unica destinata a peggiorare la pressione sulle attività produttive. Penso anche alla beffa dei concordati fallimentari, alla mancata riforma della giustizia civile. Alle elezioni – conclude Pozza - hanno raccolto quello che hanno seminato». Nella lettura del voto, gli economisti sottolineano che il tema di fondo, nel medio-lungo periodo, resta sempre quello economico. Le promesse di superare l'oppressione fiscale e burocratica da parte del centrodestra, e di una crescita comunque più intensa ma solidale da parte del centrosinistra, si sono puntualmente arenate per le divisioni e le incompatibilità interne a ciascuno dei due schieramenti, in ogni alterna legislatura in cui guidavano il Paese. Dal basso si chiede meno spesa pubblica e meno tasse, concentrando gli incentivi su famiglia e lavoro. E soprattutto si chiedono più fatti e meno slogan elettorali.

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