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Premiate le facce da talk show

Il candidato a sindaco di Napoli Luigi De Magistris

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La prevalenza del talk show segna l'agenda e spinge le facce della politica italiana, elezioni comprese. A leggere i risultati del primo turno di queste elezioni amministrative e voltandosi indietro, per dare un'occhiata alle strisce storiche del voto (amministrativo e non) negli ultimi due decenni, l'indicazione è chiara: i volti e i nomi dei protagonisti che emergono vincenti nell'arena del maggioritario sono, sovente, gli stessi raccontati e parlanti nei talk show, quelli da milioni di spettatori come Annozero - che viaggia sopra il 20% di share di media - e Ballarò di Giovanni Floris, che sta sotto il programma di Michele Santoro in termini di share, ma è comunque il secondo talk italiano per numero di spettatori. Luigi De Magistris, Italia dei valori, che ha spodestato al primo turno il candidato del Pd nelle elezioni a Napoli, guadagnandosi il ballottaggio contro Gianni Lettieri del Pdl è diventato un volto mediatico - ai tempi in cui faceva ancora il magistrato - grazie ad Annozero di Michele Santoro. Così come Sara Giudice, la giovane critica di Nicole Minetti a Milano (ha raccolto le firme per chiederne le dimissioni dal Consiglio) che ha registrato un boom di voti nel capoluogo lombardo pur essendo candidata nella lista civica che sosteneva Manfredi Palmeri del Terzo polo, fermatosi sotto il 6%. La Giudice è stata spesso ospite di Annozero, nello spazio «Generazione zero», e - in seguito - di altri talk. E che dire di Beppe Grillo, sicuramente attivissimo e popolare grazie a se stesso ed al proprio sito internet, ma che Annozero di Michele Santoro intervista abbastanza spesso, mandandolo in onda davanti a cinque milioni e mezzo di telespettatori? Del resto, se andiamo indietro, negli anni ballerini che hanno segnato il declino e la fine della Prima Repubblica, vediamo come il talk show, anche allora, imponesse la sua prevalenza sul politico, agenda e facce dei leader compresi. Il Movimento sociale di Gianfranco Fini, che esce dal ghetto proprio negli anni in cui Tangentopoli travolge le forze del pentapartito (Dc, Psi, Pri, Pli e Psdi), nelle puntate di Samarcanda e de Il rosso e il nero - i programmi di Michele Santoro, su Raitre, che andavano in onda nei primi Novanta - era spesso protagonista. Il 7 maggio 1992 - siamo meno di tre mesi dopo l'arresto del socialista Mario Chiesa che darà il via all'inchiesta Mani Pulite - ospiti di Santoro in una puntata di Samarcanda che tratta il tema delle tangenti a Milano, sono il leader della Rete Leoluca Orlando e il numero uno del Msi, Gianfranco Fini, con il sindaco di Milano Giampiero Borghini in collegamento. Il 25 febbraio 1993, quasi un anno dopo, dallo studio de Il Rosso e il nero sempre Gianfranco Fini lancerà un appello al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro perché non firmi il decreto di rinvio delle elezioni amministrative. In quei mesi la popolarità di Fini sale e la televisione c'è. Gli scettici si chiederanno: ma Fini, senza la tv, non sarebbe esistito in termini politici? Certo che sarebbe esistito ma il suo peso (e quello del suo partito) nella realtà e nell'agenda della politica sarebbe stato enormemente più basso e meno incisivo. Un'altra storia. Per capire la prevalenza del talk show di oggi ed il peso che l'infotainment politico ha in Italia, da oltre 20 anni, è interessante rileggersi un corsivo del Secolo d'Italia, il quotidiano del Msi-Dn, vergato nientedimeno che da Francesco Storace, allora portavoce del segretario Gianfranco Fini. «Ai Pirrotta cloroformizzati preferiamo i Santoro di Samarcanda». Era il 10 ottobre 1991 ed ai missini non era garbato un servizio di Onofrio Pirrotta, giornalista parlamentare Rai, trasmesso il giorno prima dal Tg2, dopo che i deputati missini avevano occupato gli studi della Rai a Montecitorio per protestare contro l'informazione data sui voti di fiducia chiesti dal Governo: «Se ne è andato - scriveva Storace del giornalista - davanti agli schermi del Tg2, con un collegamento da Palazzo Chigi (forse a via del Corso non c'era disponibilità), a raccontare la sua verità. Parola più, parola meno, ha sostanzialmente detto che i deputati missini protestavano semplicemente perché la Rai non parla troppo di loro. È una cialtronata bella e buona». Talk, comunque talk, assolutamente talk. Persino se prendiamo lo scarso risultato, in termini di voti, del Fli, la formazione di Fini, a queste amministrative non possiamo non rilevare come i talk abbiano raccontato i Bocchino, i Granata e lo stesso Fini nel loro tratto antiberlusconiano, senza però dargli una narrazione in termini di proposta in positivo. Quando alcuni critici televisivi, tra cui Aldo Grasso del Corriere della Sera, scrivono che i talk show non spostano voti, beh secondo noi sbagliano. Eccome. Non solo spostano voti ma narrano facce, volti, incidono nell'agenda delle cose. Per questo Silvio Berlusconi (che di tv ne capisce) ed il centrodestra anziché criticare soltanto quelli di Michele Santoro e Giovanni Floris, dovrebbero pensare a metter su un bell'infotainment di centrodestra. Non nel senso del conduttore (un leghista, un berlusconiano, etc) ché la partigianeria di per sé (e senza il talento) non è sufficiente ma della narrazione della realtà e dei fatti, per dettare l'agenda. Sarà anche vecchio e stanco - come ha scritto Aldo Grasso - ma il talk show è l'unico genere tv capace di incidere in tempo reale sul presente e sulla politica. È la televisione, bellezze!

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