Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Nuova vita per il partito delle tasse

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

Da Milano a Napoli, passando per Bologna, si avanza una nuova sinistra che assomiglia molto a quella vista all'opera nel 2006-2008. All'opera con l'Unione prodiana. Con una differenza: allora a mediare con le varie anime unioniste era il professore bolognese. Ora questo profilo di leader tutto sommato moderato, almeno quanto a radici democristiane e di ex grand commis, manca. A Milano ha le sembianze di Giuliano Pisapia (Sinistra e libertà, tendenza Rifondazione), a Napoli quelle di Luigi De Magistris (dipietristi e dintorni), a Bologna di Virgilio Merola, ex assessore della giunta Cofferati, un pd doc che però è passato grazie al 10,25% della lista vendoliana che ha compensato la defaillance del suo partito. Se si volesse rintracciare un riformista vero tra gli esponenti dell'opposizione che hanno vinto questo primo turno di amministrative, occorrerebbe andare a Torino, dove Piero Fassino raccoglie l'eredità di Sergio Chiamparino. Ma Fassino è appunto un'eccezione. La regola è tutto il resto, che trova il simbolo più evidente in Giuliano Pisapia. A differenza di ciò che è stato incautamente suggerito a Letizia Moratti da qualche improvvido consigliere, Pisapia non è un pericoloso estremista né un forcaiolo. Ha certo bazzicato la sinistra extraparlamentare; ma poi durante il primo governo prodiano fu presidente della commissione Giustizia in rappresentanza di Rifondazione, ha scritto libri contro la politicizzazione della magistratura, uno assieme a Carlo Nordio, un procuratore di orientamento liberale. Il problema di Pisapia è un altro, secondo noi ancora maggiore: il modello economico e sociale con il quale intende governare una città come Milano. E da qui la sua proiezione sulla sinistra del futuro. Se la sua sarà una riedizione dell'Unione in salsa vendoliana, è bene ricordare i capisaldi del breve e fallimentare governo del Professore e che cosa predica oggi il governatore della Puglia. L'operazione più vistosa, concepita da Vincenzo Visco, fu l'aumento delle tasse che colpi due categorie: i ceti medi nel lavoro dipendente, ed i professi\onisti. Con la riforma Tremonti in vigore dal 2005 l'Irpef prevedeva un'area no-tax fino 14.000 euro di reddito, un'aliquota del 23% fino a 26 mila euro, una del 33 da 26 a 33.500 euro, una del 39% da 33.500 a 100.000 euro, un'ultima del 43 oltre i 100.000. Visco eliminò la no-tax area, abbassò a 15.000 euro la fascia di reddito tassata al 23%, inserì un'aliquota del 28 sui redditi da 15 a 28.000, una del 38 da 28 a 55.000, elevò al 41% l'aliquota sui redditi da 55.000 a 75.000, ed oltre questa soglia fece partire l'aliquota massima del 43%. Insomma, colpì da una parte i redditi più bassi dall'altra quelli medi e medio-alti. In generale, secondo uno studio dell'Università Federico II di Napoli, la manovra sull'Irpef che il governo Prodi presentò come "a gettito invariato" costò invece ai contribuenti quattro miliardi l'anno. Quanto a professionisti ed autonomi, la stretta sull'Iva (che risultò di 6 miliardi di euro) e la revisione retroattiva degli studi di settore produssero automaticamente 11 miliardi di gettito. Ma i famosi tesoretti di Visco non andarono a migliorare i conti dello Stato, né a costituire una riserva per la tempesta che si stava avvicinando. Nel 2007-2008 la spesa pubblica risultò di 790 miliardi di euro, toccando il 52 per cento del Pil. E, benché non si fosse ancora abbattuta sull'economia mondiale la grande crisi, non è che la crescita dell'Italia fosse molto superiore a quanto stimato adesso, e oggetto di aspre accuse a Giulio Tremonti: il massimo fu un più 1,9 nel 2007, che l'anno dopo era già precipitato a meno uno. L'era Prodi fu anche quella del blocco delle grandi opere: simbolo e tormentone, la rivolta contro la Tav, le polemiche contro il passante di Mestre, la guerra al Mose di Venezia, le infinite diatribe sulla variante di valico dell'Autostrada del Sole. Non che il Cavaliere abbia fatto miracoli, e neppure mantenuto tutte le sue innumerevoli promesse. Qualcosa, comunque, si è mosso. Al contrario, nella regione che governa, Nichi Vendola ha ri-pubblicizzato l'Acquedotto pugliese, il più grande e inefficiente d'Europa. Quanto alle tasse, ha recentemente proposto di colpire le rendite – oggi soggette all'aliquota del 12,5 per cento – con un prelievo medio del 27-28. E di applicare invece il 12,5 ai redditi più bassi. L'apparenza è certo suggestiva: senonché basta fare due semplici calcoli. La differenza tra 27 e 12,5 fa 14,5 per cento. E su un patrimonio stimato dalla Banca d'Italia in 9.500 miliardi tra immobili e investimenti, si tratterebbe di un prelievo di 1.400 miliardi di euro. Più o meno dieci volte il gettito dell'intera Irpef. Il doppio della attuale pressione fiscale. Forse il capocorrente di Pisapia dovrebbe precisare meglio le sue idee. Ripetiamo: il centrodestra, con la maggioranza che aveva, avrebbe dovuto fare di più, o concentrare meglio le risorse. Ma che cosa si prepara con la sinistra che sta emergendo? Milano ha bisogno dell'Expò, così come di ingenti infrastrutture. Quanto all'Italia, ricette vendoliane a parte, siamo al record di pressione fiscale, quelli del Nord sono addirittura scesi in piazza, ed abbiamo un problema di bassa crescita. Tutto questo con il Cavaliere e Tremonti. Che cosa vogliano fare i Pisapia e i De Magistris lo capiremo, forse, tra non molto. Che cosa abbia in mente una sinistra di cui Rifondazione e dipietristi diventino non più azionisti intercambiabili, ma soci più o meno alla pari del Pd, è un diritto chiederselo, e Bersani o chi per lui ha il dovere di dirlo. E magari scopriremo che Prodi e Visco non sono ancora andati in pensione.

Dai blog