Il Cav si sfila su Milano: "Ora tocca al Pdl"

Sale sull'aereo che lo sta per riportare da Milano a Roma, dove ad attenderlo ci sono il primo con il presidente dell'Assemblea generale Onu, Joseph Deiss, e il presidente della Gabon, Ali Bongo Ondimba. Sul velivolo un gruppo di parlamentari in trepidante attesa, Silvio Berlusconi li gela subito: «Non mi chiedete di Milano. Non voglio nemmeno sentir parlare della Moratti. E adesso lasciatemi dormire che ho bisogno di riposare». Si siede nel salottino dell'Airbus presidenziale che lo sta riportando nella Capitale e s'appisola. Quando si sveglia è più sereno, l'arrivo a Roma è prossimo. Il Cavaliere racconta di aver parlato con Letizia Moratti e lascia intendere che non si impegnerà direttamente. «C'ho messo la faccia e sono stato l'unico» si lascia scappare. Il riferimento è a quando Cl gli propose di candidare Maurizio Lupi a capolista a Milano. Ma tutta l'ala laica si ribellò perché così l'organizzazione di don Giussani avrebbe ipotecato la successione alla Moratti. E così, per far da paciere Berlusconi chiese a tutti di candidarsi. Tutti si sono defilati, nessuno è voluto andare in lista. E nessuno si è manco impegnato: «Dov'erano i ministri? I sottosegretari? E i deputati, gli eurodeputati? Io non ho visto nessuno mettersi a fare il porta a porta», si sfoga il Cavaliere. Ora basta. Berlusconi non ci vuole rimettere più. Ma non crede che la partita sia chiusa, al contrario immagina un rovesciamento: «Ce la possiamo giocare», ripete più volte. Pure la Moratti vuole smarcarsi. Ha lanciato un altro centrodestra, cerca l'accordo con Casini e se possibile pure con Fli e grillini. Insomma, cerca di mostrarsi diversa dalla coalizione nazionale, convinta com'è che gli abbia fatto solo male il traino del Pdl. I manifesti, i cortei fuori al tribunale, i sit in contro i giudici. Il premier non vuole più metterci la faccia, non vuole più tirare la carretta da solo: niente uscite nel capoluogo meneghino. Lascerà fare al partito. Che sarà incaricato di attaccare il volto estremista di Pisapia, ricordando come sia a favore della droga e dei centri sociali. Piuttosto il Cav pensa a Napoli, vede che la partita nel capoluogo partenopeo si può giocare e si può vincere. Ma il presidente del Consiglio guarda anche più avanti. Ormai ha archiviato il primo turno e mentalmente è già al dopo ballottaggi. Il suo governo ne esce malconcio già così dall'esito del voto. Lui personalmente ammaccato. E la sua prima vera sconfitta personale da oltre un decennio. Pensa a rimettere in sesto l'immagine del partito. Via i tre coordinatori, arriva il coordinatore unico. Nella sua testa c'è sempre Angelino Alfano, magari affiancato da tre vice giovani. In pole c'è Giorgia Meloni, che con l'attuale ministro della Giustizia ha un feeling particolare. Al dicastero di via Arenula il premier vedrebbe bene Franco Frattini e agli Esteri Fabrizio Cicchitto in modo da dare anche una ventata di novità al gruppo alla Camera con Lupi. Poi c'è il capitolo Lega. Incontrando i vertici del Pdl non ha nascosto i problemi ma si è detto convinto che tutto si ricomporrà quando si va sulle cose concrete. Quindi il governo: Berlusconi vuole ripartire dal Fisco. Il governo dovrebbe presentare una legge delega al Parlamento con l'impegno a fare una riforma complessiva con un unico codice. L'idea è di arrivare a una semplificazione generale magari con tre aliquote Irpef e cinque o sei altre grandi tasse sugli altri capitoli. Poi vuole andare avanti sulla Giustizia e infine sogna ancora di mettere mano alle riforme costituzionali che prevedano anche la fine dei tre poteri pilastro dello Stato e ridurli a due: governo e Parlamento da un lato e la magistratura dall'altra. Insomma, vuole riprendere lo scettro dell'azione di governo troppo spesso messa da parte. Da quasi due anni Silvio appare in guerra con il mondo e alla continua ricerca di un nemico. Una fase politica che non ha pagato, forse se ne sta schiudendo una nuova.