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Il tragicomico voto di protesta

Bologna, Beppe Grillo durante la manifestazione del Movimento Cinque stelle a sostegno della candidatura a sindaco di Massimo Bugani

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Vince il voto di protesta. Vince il voto anti-sistema. Il voto contro tutto e contro tutti. Vincono i fuori dagli schemi, quelli dal messaggio forte e chiaro. Vincono gli outsider. O meglio quelli che venivano considerati tali al nastro di partenza e che invece si sono rivelati con una marcia in più sul filo di lana. Da Nord a Sud il dato accomuna gran parte di questo voto amministrativo. I simboli di questo successo sono due esponenti politici simili e per questo in concorrenza: Beppe Grillo e Luigi De Magistris. Che sono riusciti a occupare lo spazio che fu di parte della sinistra. O dei Radicali di Pannella. O più recentemente di Fini. I grillini sfondano persino a Milano, dove non avevano ottenuto mai grandi risultati. E invece il Movimento 5 Stelle del comico genovese, guidato all'ombra della Madunina da Mattia Calise, si attesta attorno al 3,5%. Tanto per capirsi: il doppio dell'Udc e a qualche decimale di distanza da tutto il Terzo Polo messo assieme. Sorpasso che invece si consuma a Torino, dove lo sconosciuto Vittorio Bertola supera il 5% staccando di uno 0.3% l'intera coalizione di centristri che sosteneva il pluricelebrato Alberto Musy. In realtà, quel 5% sta pure stretto ai seguaci del Beppe furioso, visto che a sostegno di un altro candidato si era presentata anche una fantomatica lista del "Grillo parlante" che pure ha raccolto un ragguardevole 1%. Il tripudio però è a Bologna. I cinquestellini sfiorano da soli il 10% con Massimo Bugani, a un passo dalla Lega che pure era trainata dal candidato sindaco Manes Bernardini. Candidati senza partiti che vanno oltre le coalizioni. Partiti come pesi, fardelli che frenano la corsa dei candidati. Accade a Napoli dove Luigi De Magistris tocca il 25%, stacca nettamente il candidato del centrosinistra Mario Morcone di quasi quattro punti percentuali. Ma De Magistris non è più neppure un uomo dell'Italia dei Valori di Di Pietro. La coalizione che assieme sostiene l'ex pm si ferma a quota 15,2%. L'Idv non va oltre uno striminzito 7 per cento. L'altro partito vero della coalizione, Rifondazione comunista, si ferma al 3 mentre soltanto la lista civica messa su in fretta e furia si attesta al 4,5%. Dunque da solo De Magistris, con il suo 25%, surclassa il Pd, che non va oltre il 17,7%. Il partito di Bersani neppure sommando quelli di Sel di Vendola (4,1%) arriverebbe alla percentuale dell'ex pm. Il cui risultato è ancora più sorprendente se si considera che pure nel capoluogo partepeo si presentavano i grillini, con un certo Roberto Fico, che pure è arrivato quasi a un due per cento. E poi c'è Giuliano Pisapia. L'ousider per eccellenza. Quasi un candidato di bandiera alle primarie della sinistra radicale, si afferma alle elezioni interne alla coalizione per scegliere il portabandiera contro l'estabilishment del Pd. Viene accusato per tutta la campagna elettorale di essere un comunista e persino di essere stato amico dei terroristi. Non serve. O forse è stata un'arma che scagliata contro di lui ha finito per rafforzarlo. Perché quello che emerge dalle urne è una grande voglia di cambiamento generale. Con alcune eccezioni, come a Torino dove vince «l'usato sicuro» Piero Fassino. Un messaggio anche ai rottamatori del Pd: non basta cambiare un volto per vincere. Al contrario, l'elettorato chiede di aprire forze e finestre. Cambiare aria. E anche uno che proviene da Rifondazione come Pisapia, è in grado di attrarre in una città come Milano le fasce più moderate. Anche i sondaggi di Berlusconi nelle settimane scorse avevano evidenziato un'altra quota di delusi proprio all'interno del Pdl. Elettori di centrodestra che aspettavano il Berlusconi liberale, chiedevano che rimpugnasse le sue battaglie storiche come l'abbassamento delle tasse, meno burocrazia, aiuti all'econoia in questa fase di crisi. Non è arrivato nulla e nell'urna hanno mandato un segnale. Forse l'ultimo.

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