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Bologna illude la Lega

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Pragmatismo torinese e bonomia bolognese, ambedue in salsa rossa. Se sotto la Mole antonelliana l'esile Piero Fassino ha dato una sabauda prova di forza sbarazzandosi degli avversari al primo colpo, sotto le due torri si è tremato per la prospettiva dei supplementari. La paura c'è stata, nonostante a Bologna nelle fila del centrosinistra si facesse spallucce e nella segreteria del Pd fosse già pronto il "piano B" da sbandierare come un tranquillante. Davanti agli occhi lo spauracchio di veder scolorire la roccaforte rossa con l'onta del ballottaggio. Sarebbe stata una mezza sconfitta di fronte a quella che il centrosinistra riteneva una vittoria annunciata ma da non annunciare. Poi, però, scheda dopo scheda e senza troppe ambasce nello spoglio, le preferenze accordate a Virginio Merola l'hanno proiettato percentualmente oltre lo sbarramento di quota cinquanta. Altro che Linea Gotica. Per Manes Bernardini e la sua mission impossible di rinverdire lo choc politico e culturale di Giorgio Guazzaloca all'ombra della spada di Alberto da Giussano, una bella illusione durata meno dell'espace d'un matin del poeta. Il tempo di infrangere i sigilli alle urne. Per lui persino l'asticella al 30% sembrava un obiettivo per Sergej Bubka. La sorpresa, quella vera, viene dalle terze linee. Da quel Massimo Bugani targato Beppe Grillo, che ha spiccato un salto in avanti nei sondaggi e negli accreditamenti, rivelandosi non solo come outsider ma persino come alternativa spuntata fuori dalle urne, dalla protesta e da un pizzico di qualunquismo. È l'ingresso trionfale a Palazzo d'Accursio del Movimento di piazza a cinque stelle e a quasi due cifre percentuali, con i consensi triplicati rispetto a un biennio fa: a Bologna il comico di Genova non ha scherzato per nulla e ha fatto un pieno da mettere a serio rischio il suo abbondante girovita . I brividi ai principali contendenti, ma per motivi diversi, li davano nel pomeriggio le proiezioni Ipr/Rai ed Emg/La7, tendenzialmente possibiliste verso il ballottaggio, e anche i tempi lunghi di apparizione sul portale del Comune di Bologna dei dati ufficiali. Da questi, però, quota 50% veniva quasi subito superata da Merola, mentre Bernardini galleggiava senza sussulti sotto il 30%. I piccoli ondeggiamenti di Bugani erano invece da leggere quasi come marosi che lambivano un 10% insperato che ha del miracoloso. Quando alle 19 i conteggi riguardavano 49 sezioni su 449 e i voti validi erano poco meno di 18.000, solo la scaramanzia non faceva tirar fuori lo spumante dal frigo. Il Pd era arroccato al 40%, più di due volte il Pdl, con i vendoliani semimascherati a giocarsela quasi alla pari con la Lega quanto a gradimento. La Lista civica di Stefano Aldovrandi quarta forza inchiodata al 5%, spiccioli per gli altri candidati sindaco: quattro partiti (Lista civica Bologna capitale; I popolari di Italia domani; Pri; Lista civica Agire insieme civicamente) regalano pochi punti a Daniele Corticelli, ma sempre molti di più di quanto non facciano il Partito comunista dei lavoratori a Michele Terra, Forza Nuova ad Elisabetta Avanzi, La Destra ad Anna Montella e la Lista civica Nettuno ad Angelo Maria Carcano. Gli ultimi quattro candidati non passano neppure la Linea Maginot del decimale. Comparsate decoubertiane o poco più. Le ombre della sera hanno portato a Merola la luce folgorante di due punti oltre al 50%, un margine che resisteva alle riserve della matematica, sorretto sulle spalle da un robusto 10% della Lista civica Con Amelia per Bologna con Vendola , il quasi 4% dell'Idv, la timida abbinata Rifondazione-Comunisti italiani di poco sotto il 2% e i voti racimolati qua e là dai Laici socialisti riformisti (mezzo punto). Il centrodestra, alla conta, ha intercettato un quarto delle preferenze, lasciando per strada qualche rivolo: poca cosa rispetto all'onda d'urto del centrosinistra, allineato e coperto per far fronte anche agli schizzi della fine dell'ultima esperienza di governo che pure qualche incognita la lasciava aleggiare. L'ex assessore si può quidi sedere sullo scanno più alto del consiglio, chiamato a dare seguito al suo programma: non essere semplicemente un «amministratore dell'esistente», di una città come Bologna che ha detto di stentare a riconoscere ma che comunque ama e di cui è orgoglioso. Ha snocciolato cinque punti chiamati «svolte fondamentali e sostenibili: culturale, ambientale, produttiva, sociale e tecnologica». Ha sostenuto pure che «in gioco ci sono i migliori anni della nostra vita. prossimi». Dagli slogan alla realtà. La sfida di ieri è già passato. Si apre ora la sfida che conta. Con lo sconto dei quindici giorni di ballottaggio che la matematica e il voto dei bolognesi gli ha messo in tasca come bonus da spendere al meglio. Il protégé di Maroni, Manes Bernardini, medita su quel che difficilmente poteva essere, e puntualmente non è stato. Sicurezza e bolognesità da preservare dal fenomeno dell'immigrazione, temi forti addolciti da uno stile mai sopra le righe, non hanno fatto sufficiente breccia nel comune sentire. «Finalmente Bologna», era uno dei suoi slogan. Bologna ha risposto: no, grazie. Rifiuto cortese, com'è moneta corrente da queste parti. L'avvocato si accomoda all'opposizione senza essere riuscito a strappare il secondo round. È giovane (38 anni), può dare ancora molto alla politica e alla sua città e ha c'è ancora tempo per riprovarci. Anche se nel menu della politica i piatti freddi non sono in cima alla lista dei desideri.

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