A Milano la breccia di Pisapia
Milano va al ballottaggio. Ma con Letizia Moratti, orfana dell'Udc e dei finiani, costretta a inseguire Giuliano Pisapia. Attorno a mezzanotte, quando sono state già scrutinate 993 sezioni su 1251, il candidato del centrosinistra risultava infatti in vantaggio con il 48% dei voti rispetto al 41,6% del sindaco uscente. A seguire il terzo polo con Manfredi Palmeri al 5,5% e il giovane grillino Mattia Calise con il 3,3 per cento. Sul fronte delle liste, il Pdl rischia di perdere il ruolo di primo partito a Milano. Nello spoglio delle schede, infatti, è un testa a testa fra le liste del Popolo delle Libertà e del Pd. Quando lo scrutinio ha quasi raggiunto il 50%, il Pdl e il Partito democratico in città si equivalgono attestandosi a circa il 28% dei voti. La Lega Nord naviga fra il 9 e il 10%, il Movimento 5 Stelle attorno al 3,5%, Sinistra Ecologia e Libertà oltre il 4 per cento. «Ma qui non ha vinto Pisapia, ha perso la Moratti», si lascia scappare un esponente del Carroccio nel pomeriggio dalla sede di via Bellerio, all'uscita delle prime proiezioni. Commento suffragato dai numeri: i partiti del centrodestra hanno preso più voti del sindaco uscente (quasi due punti percentuali). Di certo il risultato di Milano alimenta i sospetti nel centrodestra. Come si sono orientati gli elettori della Lega? E che farà Bossi per il ballottaggio? Storicamente i lumbard al ballottaggio non si danno molto da fare per tirare la volata ad altri, ma forse faranno un'eccezione per Milano. A chi lo ha visto, il Senatùr è apparso sorpreso e irritato. Bossi sarà determinante per il secondo round e la possibilità che possa sfilarsi all'ultimo momento, nonostante le assicurazioni ufficiali di piena lealtà, crea comunque tensioni interne. Nel corso della diretta elettorale sulla tv del Corriere della Sera, si sono inoltre fatte notare le dichiarazioni di Matteo Salvini, il consigliere comunale della Lega a Milano. «Letizia ha fatto una campagna elettorale che non ci sembrava quella giusta», ha detto Salvini marcando dunque una distanza tra il Carroccio e l'attuale primo cittadino. Secondo le indiscrezioni circolate in giornata sul voto disgiunto molti voti leghisti sarebbero stati dirottati sul candidato del terzo polo, Palmeri e in parte su Pisapia. Anche i lumbard non possono comunque festeggiare, la loro lista passa infatti dal 3,8% del 2006 al 9,5%. Ma perde quasi tre punti rispetto alle politiche del 2008, quando aveva raggiunto il 12,3%. In pochi si aspettavano che l'avanzata di Bossi si sarebbe fermata, eppure in base ai primi risultati si avverte qualche segno di stanchezza. Non a caso lo stesso Berlusconi avrebbe sottolineato ai suoi colonnelli che anche il Carroccio deve prendere «autocoscienza» del risultato di Milano. Nello stesso Popolo delle Libertà nessuno nasconde che dalle urne milanesi è uscito un risultato amaro. Il presidente esprimerà le sue valutazioni soltanto domani (oggi, ndr) a risultati definitivi», si limita a dire il portavoce Paolo Bonaiuti, uno dei pochi che varcano i cancelli di villa San Martino dove il Cavaliere, eccezion fatta per la silente visita al tribunale di Milano, resta chiuso tutto il giorno. Vero è che Letizia Moratti non aveva questa volta i voti dell'Udc e della pattuglie finiana, come era accaduto nel 2006. Ma sommando i voti attribuiti dalle proiezioni a Manfredi Palmeri, Moratti si sarebbe comunque fermata ben al di sotto del 52% del 2006. E' certo che il ballottaggio è proprio ciò che Berlusconi avrebbe preferito evitare. Così come è chiaro che la Lega da una parte e i moderati del terzo polo dall'altro faranno la differenza al secondo turno se decideranno di dirottare i loro consensi sulla Moratti. Tranne i grillini che hanno deciso di lasciare la più ampia libertà di scelta ai supporter, il corteggiamento è già partito. Così come le divisioni. All'interno dei finiani, che ha Milano hanno candidato Manfredi Palmeri, è spaccatura netta: per Adolfo Urso e Andrea Ronchi è «normale al ballottaggio appoggiare i candidati del centrodestra». Non la pensa così Italo Bocchino che definisce quelle Urso e Ronchi posizioni personali, ma alla fine «decide il partito e ad ogni modo è evidente che siamo distinti e distanti sia da Pisapia che dalla Moratti». Poi, in serata, una nota congiunta dei leader dello schieramento, Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli, precisa: ai ballottaggi il terzo polo valuterà le scelte con i propri candidati sindaci, «nell'interesse esclusivo dei cittadini senza scelte pregiudiziali o corsie privilegiate». Ergo: tutte le possibilità restano aperte, bisogna trattare equilibrando i pesi fra l'Udc, più disponibile alla mediazione con i berlusconiani, e i falchi finiani. Non a caso Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera, osserva: «Il terzo polo non esiste, esiste l'Udc». La battaglia per gli apparentamenti, insomma, comincia adesso. Dal quartier generale di via Romagnosi, la voce di Letizia Moratti arriva solo a mezzanotte: «È un segnale molto forte che dobbiamo saper cogliere, da Milano deve ripartire una fase nuova della politica del centrodestra in grado di riaggregare tutte le forze realmente moderate della nostra città». Adesso «dobbiamo parlare di cose concrete». Dall'altra parte Pisapia è convinto di battere la rivale al secondo turno «con oltre il 51%» e il Pd esulta. Bersani ha telefonato all'avvocato milanese per dirgli «Sei stato bravissimo. È un risultato straordinario. L'avevo detto, a Milano si vince». Dimenticando però che Pisapia, uomo sostenuto da Vendola, è stato l'outsider che alle primarie ha sconfitto il Pd e il suo candidato Stefano Boeri.