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Nella polvere un figlio della sinistra snob

Dominique Strauss-Kahn

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L'uscita di scena di Dominique Strauss-Kahn, dopo l'arresto clamoroso, è pacifica, secondo, Jacques Attali, vecchia eminenza grigia del «Re» Mitterrand. DSK non sarà candidato alle primarie dei socialisti per le presidenziali: così Attali durante un'intervista televisiva. Secondo il settimanale "Marianne", antisocialista da sempre, qualcosa è oggettivamente mutato non soltanto nella cronaca politica francese, ma nella storia della sinistra tout court. Perché DSK non era un socialista qualunque. Nato in una ricca famiglia ebraica, di origini sia ashkenazite che sefardite, e vissuto in Marocco, dunque con un taglio di eclettismo culturale notevole, l'economista, ministro e grande capo del FMI, faceva parte di quella schiera di eletti abituata a non farsi mancare niente. Economista a vocazione macro-economica, DSK ha fatto tutto nella vita: il professore, il ministro e il tecnocrate. Sempre avendo a cuore la politica e quel certo non so che cosmospolita e globalizzatore proprio dei socialisti cresciuti o all'Ena, come Rocard, o alla scuola di Jospin, come l'intemperante direttore del FMI. Di questa grande famiglia snob, il socialismo borghese, DSK si è sempre sentito figlio legittimo. Del resto, la sua azione politica come ministro è stata apprezzata trasversalmente e la sua eleganza istituzionale, idem. Vantava buoni rapporti con Chirac e pessimi con i comunisti. Un vincente.  Ma un vincente in un'età dolorosamente segnata dalla presenza di due malattie spirituali: il moralismo e il nichilismo. Un'accoppiata apparentemente bizzarra, eppure così scandalosamente incarnata nei gesti e nei comportamenti di questi «vincenti» di sinistra, in Italia e Oltralpe. La fine di questa sinistra rappresenta un turning point storico. DSK è venuto in Italia, a far da sponsor, con il suo perfetto italiano, all'Ulivo, seguendo il codice rosso della nostra sinistra bacchettona: alla gogna Berlusconi. Un ebreo contemporaneamente mediterraneo e renano come DSK non è riuscito ad intercettare il meglio della tradizione etico-religiosa dell'ebraismo, mentre non ha avuto problemi a sposare in terze nozze e in sinagoga l'attuale moglie. In quest'Europa corrotta e moralista, il fariseismo è d'obbligo. La fine di questi personaggi segna anche la crisi di questa Europa. L'Europa di Jospin, altro grande fustigatore dei costumi altrui e mentore del futuro capo del FMI. Tutto si tiene in questa cornice. Non si può dire, ma è vero: era solo questione di tempo. Moralismo e nichilismo, nel deserto di fede, valori ed etica. La fine del socialismo nazionale e cristiano di Péguy e l'ascesa dei tecnocrati moralisti e nichilisti. Era tutto scritto nel copione. In quella suite da 3000 dollari di New York si è consumato il percorso storico dell'ultima generazione di «vincenti» senza vittoria. Denaro, lussuria e potere, scriveva Eliot. Si è ricchi se si rinuncia a molto, non pretendendo tutto. La fine di un tecnocrate inquilino dei piani alti, ma non delle stelle.

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